Piattola, il barista che si gratta sempre nelle mutande, era appoggiato alla macchina del caffè, con le braccia incrociate sul petto, in attesa di clienti. Non ha mosso una palpebra, vedendomi entrare. Qui da noi, alla bocciofila, ci vuol ben altro che un fesso con in testa il sacchetto del pane per stimolare una reazione. Siamo temprati a tutto, alla bocciofila. Ognuno di noi, soci e clienti fissi della bocciofila, ne avrebbe da raccontare tante, fra cose viste, sentite e inventate, che non basterebbero dieci giorni per sentire tutte le storie, una più sbudellata dell’altra.
“Devo fare una telefonata” ho detto a Piattola.
“Che cosa hai in testa, Cardo?” mi ha chiesto lui, calmo, riconoscendomi forse dalla voce.
“Il sacchetto del pane” gli ho risposto. Lui non ha insistito.
Una delle regole non scritte della bocciofila, condivisa e applicata da tutti, è quella del divieto della seconda domanda. La ragione è semplice: se uno ti fa una domanda e tu rispondi in maniera chiara, ebbene, la cosa finisce lì, ma se invece la risposta è incompleta o evasiva allora vuol dire che tu non hai voglia di rispondere, che sono cazzi tuoi, che lui deve farsi i cazzi suoi, cose del genere, e allora diventa evidente che la seconda domanda sarebbe subito inopportuna, a meno che chi ha fatto la seconda domanda non sia un cretino o un poliziotto. Ma qui da noi, alla bocciofila, i cretini e i poliziotti non ci entrano se non per sbaglio (i primi) o per lavoro (i secondi). No, nessun cretino, qui. Papponi, quelli sì, ci sono, e Aldo è il veterano. E poi ci sono gli analfabeti, gli alcolizzati, i solitari, gli idioti, come me. E se un fesso si alza e mi dice che se alla bocciofila ci sono gli idioti la regola che ho appena pronunciato è infranta, allora alzo una gamba e gli piscio nella trachea, al fesso, perché solo un fesso può confondere gli idioti con i cretini. Gli idioti, caro il mio fesso, non sanno niente di niente, è vero, e alle volte non sanno nemmeno il loro nome, ma sono privi di arroganza, liberi da certezze, sforniti di boria. Mentre i cretini come te, fesso che non sei altro, cagano sentenze ogni minuto e guardano tutti dall’alto e sono sempre pronti a correggere gli altri. E di solito fanno la seconda domanda, a differenza degli idioti, proprio perché sono cretini.
“Dimmi il numero, te la metto sul conto”, ha detto Piattola, domato dalla mia risposta.
Già il numero...
Io non ho l’agenda e perciò i pochi numeri che mi servono me li sono scritti addosso con il pennarello. Quello di Ribò lo tengo sul polpaccio. Ho posato un piede su una sedia, ho alzato un lembo dei calzoni e gli ho dettato il numero che lui ha subito composto.
“Ribò” ho detto, afferrando il cellulare dalle mani di Piattola e poggiandolo contro la carta del pane in corrispondenza dell’orecchio, “ho la faccia piena di squame bianche che si staccano. Faccio schifo e Angela non vuole più farsi puntellare. Che cosa posso fare?”.
“Devi andare da un dermatologo” ha detto lui, pratico. E mi ha dato un numero e un indirizzo, che io ho subito trascritto all’interno del braccio usando la biro di Piattola, quella vecchia bic tenuta insieme con il nastro isolante e appoggiata vicino alla cassa.
“Devo fare un’altra telefonata” ho detto a Piattola E lui mi ha strappato di mano il telefono e ha composto il nuovo numero.
Mi ha risposto una segretaria e ho preso l’appuntamento per il giorno dopo.
“Ragazzi” ha sbraitato Piattola, intanto, volgendo la testa verso l’altra sala, quella delle carte, “il Cardo ha la rogna sulla faccia”.
“Sei bello tu” gli ho risposto, e me ne sono andato.
“Metti una crema per le emorroidi” ho sentito gridare, mentre uscivo, ma non so se la frase era diretta a me.
© 2012 Fratelli Frilli Editori
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