Nuova firma proveniente dall’inesauribile serbatoio noir scandinavo, il quarantenne Ljunghill, esordiente anche in patria: e qualcuno qui da noi potrebbe cominciare a non poterne davvero più.

Sì, perché da due o tre anni a questa parte – anche se però non è il caso di Guanda da tempo attenta alla narrativa di genere del Grande Nord – è tutto un rincorrersi da parte di case editrici grandi, medie e piccole alla ricerca del fenomeno letterario che scali le classifiche di vendita con la stessa disarmante rapidità del defunto Stieg Larsson. Ma non è tutto oro quel che riluce e il lettore italiano comincia ad avvertire un senso di stanchezza, se non di assuefazione, all’ennesimo detective vichingo alle prese con le macerie del welfare scandinavo o con i fantasmi di un passato recente troppo disinvoltamente archiviato.

Si commetterebbe però un errore a classificare L’invisibile nelle griglie di una produzione di serie, destinata ad invecchiare rapidamente sugli scaffali delle nostre librerie, anche se l’esordio – la solita bambina uccisa da un bruto, a suo volta vittima di violenze infantili domestiche, in un luogo desolato della capitale svedese – potrebbe lo stesso indurci in tentazione.

Intanto la vicenda si svolge nel passato, tra il 1928 (anno in cui viene uccisa la bimba, Ingrid) e il 1953 (quando sta per scadere la prescrizione per l’omicidio irrisolto), tranne qualche breve incursione nel 1934 e nel 1941. Sono anni difficili per la Svezia che nelle poche aree metropolitane subisce un intenso processo di urbanizzazione connesso a un aumento della criminalità, mentre in provincia rimane ancorata alla sonnacchiosa routine ottocentesca. La Svezia è infatti rimasta fuori dai due conflitti mondiali, ma la popolazione ha ugualmente sofferto il razionamento, ha subito la coscrizione obbligatoria dei giovani maschi, ha visto l’ingresso forzato nel mondo del lavoro di migliaia di donne mentre la politica, negli anni Quaranta, gioca d’astuzia col feroce e potente vicino nazista, perdendo magari un po’ dell’innocenza neutralista orgogliosamente proclamata.

In questo contesto abbastanza eterodosso, l’azione si svolge tra Stoccolma, che nelle sue periferie è ancora in legno mentre il centro viene progressivamente invaso dalle automobili, e una pittoresca, medievale Visby, nell’isola di Gotland, dove la vicenda avrà la sua stupefacente soluzione.

Incaricato delle indagini è il commissario John Stierna che, coadiuvato dai suoi collaboratori – personaggi invero un po’ sfocati – e dalle prime unità di polizia scientifica, tenta di risalire, attraverso pochissimi indizi, all’identità di questo assassino che sembra sfuggire costantemente alle ricerche delle forze dell’ordine. E qui si inserisce – memoria letteraria consapevole o no dell’autore – la potente influenza de La promessa di Dürrenmatt: non si può, infatti, fare a meno di ricordare l’opera dello scrittore svizzero osservando l’ossessione di Stierna per la soluzione del caso; il suo sacrificare anche gli affetti familiari pur di acciuffare il colpevole; la “promessa”, appunto, fatta alla madre della vittima di riuscire in un modo o nell’altro a catturare il responsabile; il lento trascorrere del tempo che conduce Stierna a una malinconica pensione a Gotland, ormai zoppo, sfiduciato e a un passo dalla prescrizione del reato.

Ma Ljunghill non è – né pare voler essere – Dürrenmatt: L’invisibile non è (solo) una meditazione sul ruolo del Caso e sulla miseria della Ragione nelle vicende umane, specie se criminali; non è insomma una sorta di saggio filosofico che usa come pretesto un’indagine poliziesca; è – soltanto? – un buon, solido noir che intende sì gettare una lama di luce su certi aspetti della vita svedese di solito lasciati in ombra, ma che, soprattutto, vuole, nel finale davvero sorprendente, giustamente stupire il lettore. Anche se – forse per nobilitare il colpo di scena – Ljunghill utilizza sapientemente alcuni spunti dostoevskijani e simenoniani.

Ecco dunque che questo romanzo del Grande Nord, tendenzialmente indistinguibile dalle decine che ora affollano gli scaffali delle nostre librerie, assume una sua precisa identità e riveste un ruolo niente affatto secondario nel mosaico noir del celebrato modello scandinavo.

L’unico rimpianto, per il lettore, è che, nonostante il finale parzialmente consolatorio, sarà difficile ritrovare il nostro Stierna – l’unico vero protagonista, accanto all’assassino, del libro – nella  prossima avventura: a meno che Ljunghill non si pieghi alle logiche del marketing editoriale che già in passato permisero lunghissime carriere letterarie a eroi destinati a ballare, molto più gloriosamente, per una sola stagione.

 

Voto: 7