Anche un bambino avrebbe capito che ci aveva venduti Pablo. Agli affaristi, aveva preferito gli islamici. Sono quelle amicizie che se coltivi possono coprirti le spalle in tutto il mondo. O fartelo scottare sotto i piedi in caso contrario. Durante il nostro giro del mondo in meno di ottanta giorni, doveva aver fatto la telecronaca dei preparativi ai suoi veri padroni. Ma negli ultimi giorni a Nairobi, quando avevo smesso di stargli alle costole, le sue occasioni di spifferare erano arrivate alle stelle. Tanto che lui e gli islamici probabilmente avevano smesso di complottare ai nostri danni per sganasciarsi dalle risate. Tutto in tema con la sua filosofia. Aveva speso il tempo con me a capire che dietro la mia competenza c’era l’ingenuità. E l’aveva ricapitalizzato vendendomi.
Naturalmente, fra gli islamici e Pechino non poteva durare. Solo che non potevo confidare in una speranza di lungo periodo, per resistere nel lungo periodo.
Uscire da PDM era stato più defatigante di una pratica ministeriale.
Non avevo più niente di intero addosso e nessuna di quelle organizzazioni umanitarie che infestano l’Africa sembrava interessata a salvare la pelle di un ex appartenente al Servizio. Meno male che i militari non mi torturarono oltre il punto di non ritorno, altrimenti avrebbero perso un elemento di contrattazione. Perché i cinesi volevano l’uranio degli islamici, ma le tecnologie di Pechino nel settore non copiavano ancora con efficacia quelle occidentali. Così gli affaristi, usciti dalla finestra, rientravano dalla porta. Furono loro che alla fine pagarono il prezzo della mia liberazione. Da vivo gli potevo sempre servire. VOLPE ROSA l’avevo organizzata egregiamente. Era stato il dottor Miashe a tirar dentro Pablo e per questo, puro o no, il laureato alla Columbia University era stato cancellato dalla spettacolo. Forse anche dalla vita.
E adesso ero venuto a Rapallo per ritrovare Pablo.
La vendetta non è un dovere, ma fa bene all’organismo. Se in futuro fossi riuscito a mettere qualcosa tra me e i ricordi della tortura in quella giungla così diversa dai film di Tarzan, poteva essere solo la morte di Pablo.
Lui si sentiva talmente al sicuro da essere venuto a sistemarsi nel posto dove era nato. È sempre una brutta mossa per un uomo d’azione: vuol dire avvicinarsi alla fine di tutte le avventure. Pablo era un buon filosofo, sarebbe dovuto arrivarci da solo. Ma magari mi dava per morto, o comunque incapace di far male a una mosca.
A Rapallo Pablo aveva comprato un ristorante sul lungomare Vittorio Veneto. Di là c’era una veduta sul Golfo di quelle che fanno rivalutare la geografia come materia di studio, specie in una mattina di sole come quella.
Era febbraio, ma picchiava che sembrava giugno. In giro non si vedevano che vecchi milanesi benestanti venuti a svernare. Un posto ideale per vivere tranquilli. Un po’ meno per morire.
Dovetti attendere Pablo fino a mezzogiorno, seduto sul muretto di fronte al ristorante. Finalmente lo vidi arrivare su una Maserati. Strano, non me lo ricordavo appassionato di belle macchine. Ma cosa ne sapevo di lui? Solo quello che mi aveva voluto far credere.
Quando scese non si accorse dello storpio che lo fissava dall’altro lato della strada. Ero io, ovviamente. In quanto ad attrattiva, dopo le premure del Fronte Popolare, non potevo certo competere con il panorama che stava alle mie spalle.
Allora entrai. Non c’era molta gente, solo una coppia di pensionati che piluccavano le loro paillard e due o tre signori soli.
Uno storpio fa sempre impressione quando sbatte una porta come feci io con quella della cucina. Pablo mi guardò e forse nemmeno allora mi riconobbe. Non lo biasimo, io stesso stento a riconoscermi.
Avrei potuto sparargli con tutta calma, tanto era disarmato. Ma avevo fretta di finirlo e gli abbuonai l’equivalente di tutto quello che avevo passato per colpa sua con un’unica pallottola calibro 22 al centro della sua fronte.
I cuochi erano smilzi e piccoli. Avessero tentato qualcosa, non potevo che togliere di mezzo anche loro. Adesso che avevo cancellato Pablo, volevo restare libero per godermi quella specie di vita che mi restava. Gli affaristi mi avrebbero fatto uscire dall’Italia senza molti problemi.
Nel Servizio non avevo mai ucciso. Ora ci ero riuscito e senza troppe difficoltà. Stavo forse imparando un mestiere?
© 2012 Enzo Verrengia
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