Subito dopo, alla sua mente riaffiorarono i nomi di Renzo e Lucia, con don Abbondio e Innominato di contorno.
“Ma da quelle parti non c’è Monza?”.
Il personaggio della Monaca le aveva sempre destato uno stato d’animo a metà fra ammirazione e sgomento.
Sebastiano cercò di cogliere l’occasione:
“Allora dico di sì?”.
Marisa non obiettò. Più affermazione di così... Diversamente, apriti cielo! Si limitò peraltro a dire:
“Ma è sempre quel colonnello dell’altra volta? Possibile che non abbiano nessun’altro sotto mano oltre a te. Prima ti mandano in quel luogo sperduto dell’alessandrino... Adesso... Quando conti di partire?”.
Sebastiano, a dire il vero, aveva inoltrato la domanda senza troppa convinzione; anzi, perfino con qualche ritrosia. S’era infine deciso dopo che, parlando fra colleghi, qualcuno aveva avanzato l’ipotesi che stante i chiari di luna della attuale politica di austerità non solo l’importo delle pensioni sarebbe stato più magro, ma che addirittura si sarebbe alzata l’età pensionabile. Uno dei commenti sbrigativi che aveva colto era stato: sai che ti dico, pochi maledetti ma subito... Il timore che qualche leggina varata all’ultimo momento potesse vanificare il diritto sacrosanto di andarsene in pensione quando a uno pare e piace lo aveva infine fatto decidere.
A Marisa aveva mostrato la busta indirizzata all’Ufficio Personale del Ministero; l’aveva sventolata a mo’ di ventaglio, come se ci volesse giocherellare. Lei non si fece incantare:
“È inutile che fai finta di niente. Come se non ti conoscessi...”.
Vitale ricordava ancora quei precisi momenti, quando - alcuni giorni dopo - con aria pensierosa si faceva aria con il rapporto scritto contenente le modalità del rinvenimento di una donna morta, con ogni probabilità assassinata come faceva intendere il primo esame del medico di base di Borgo Briantino chiamato in seguito alla segnalazione di un passante che di buon mattino si recava al lavoro.
Così, tanto per gradire...
Marisa stava facendo la valigia.
“Questo sì, questo magari no...”.
E fortuna che non doveva mettere troppa roba, giusto il necessario per due o tre cambi, almeno secondo le consuetudini di casa Vitale. La dolce metà di Sebastiano ci stava attenta, giusto per poi non sentirsi dire: Ma che ci hai messo... pesa un quintale. Parole già sentite, salvo poi essere smentite da contraddittori rimproveri per aver dimenticato questo o quell’altro. Ed erano le volte che in casa volavano accidenti neanche tanto metaforici, ovviamente più nella forma che nella sostanza.
In casa i libri non trovavano tanto posto; né in valigia né nella striminzita scaffalatura sistemata in uno sgabuzzino ricavato nell’alloggio del maresciallo, al piano di sopra della Stazione Carabinieri. Immaginarsi quindi la sorpresa di Marisa nel trovarsi fra le mani una pubblicazione che a prima vista non sembrava neanche troppo recente; anzi proprio per niente, come evidenziava la copertina ingiallita e la data impressa dallo stampatore: 1903.
Senza occhiali per vedere da vicino sotto mano, mise a fuoco i caratteri più evidenti del titolo: Personaggi e melodie nella Carmen di Bizet, edizioni...
Fece mente locale: no, quelle pagine con rilegatura ormai in sfacelo non provenivano dalla peraltro non ricca collezione che si era portata dietro dalla casa materna: in pratica soltanto libri di scuola più qualche romanzo di autori langaroli come Pavese e Fenoglio. Già era sorprendente la presenza di un libro nelle cose ‘segrete’ di Seba, oltre tutto d’un genere tutto particolare come l’opera lirica. Ancor più mirabolante la dedica scritta con grafia svolazzante, come usava una volta fra persone colte: “A Sebastiano affinché non dimentichi l’incommensurabile lezione della grande musica. Firmato don Liborio”.
“Liborio, Liborio, il nome non mi è nuovo. Sarà mica il parroco del paese di Seba? Una volta ogni tanto ne parlava...”.
Incerta sul da farsi, Marisa mise comunque in valigia. Chi sa mai che al marito non saltasse la voglia di rileggerlo.
“Ora che ci penso... Sebastiano non ha mai nascosto la sua passione per la lirica. Qualche volta mi ha persino portata all’Opera. Che palle... Ore e ore seduta ad ascoltare tenori e soprani a gorgheggiare, senza neanche capire le parole. E alla fine pure ad applaudire...”.
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