- Continui, senza problemi. – Ed è vero, sentirne parlare da un estraneo mi aiuta a far uscire la morte di Primo dalla mia vita privata e a farla diventare un lavoro.
- Alla fine di aprile di quest’anno, esattamente il 26, ha sporto denuncia contro alcuni giovani. Li ha visti mentre deturpavano con svastiche e croci celtiche la lapide alla memoria del partigiano Pieragostini.
È a questo che alludeva Serra.
– Si stanno ancora raccogliendo elementi per il processo. – Continua a tenere lo sguardo fisso sul suo blocchetto di appunti. – Ma Gambaro era l’unico testimone oculare dei fatti.
Con la sua morte, il processo finirà in niente. – Cosa ne pensa, Anselmi?
Mi guarda, aspetta qualche minuto prima di parlare. – La probabile arma, il tipo di aggressione, i precedenti... Tutto farebbe pensare ad un delitto di matrice politica. O ad una vendetta. – Abbozza un mezzo sorriso sghembo. – O ad un modo collaudato per togliere amici dai guai. Anche se più che uno scappellotto non avrebbero preso.
– Di sicuro in quel suo notes ha anche i nomi dei giovani accusati da Gambaro.
– Solo lavoro d’ufficio. Routine. Nassi Italo, Schifano Beniamino. Entrambi di anni ventitré. E una ragazza di ventisei, Cernaia Vittoria. Tutti incensurati. Se servissero ho gli indirizzi.
– Benissimo, Anselmi. Se sarà il caso, andrò a sentirli – mi alzo e lui mi imita.
– Vado a dare un’occhiata all’appartamento della vittima.
– Mi sono procurato le chiavi. – Mi porge una busta di plastica. – Ho telefonato alla Scientifica, mi hanno comunicato di averle trovate; mi sono permesso di disporre che fossero repertate per prime. Le hanno consegnate poco prima del suo arrivo.
Con i suoi modi flemmatici è davvero veloce...
- Devo venire con lei, commissario?
La sua presenza renderà tutto più ufficiale.
- Sì. È meglio.
Palazzo d’epoca, secondo piano. Nonostante la presenza di Anselmi mi sento un intruso. E un incapace perché non so cosa cercare.
Nel soggiorno un divano, due poltrone e una libreria a tutta parete, impianto stereo... Sì, ricordo che era appassionato di jazz.
Nella camera, con mobili antiquati, il letto è stato rifatto con cura; la cucina ha ancora l’acquaio di marmo, alla genovese, e i mobili di formica. Solo il bagno è più recente.
Per essere la casa di un uomo anziano è pulita e ben tenuta. Ma non sono esposte fotografie o altri oggetti personali; niente soprammobili, niente tappeti, niente quadri.
Nessun ricordo di una vita.
Ora dovrei cominciare a cercare davvero. Mi giro verso Anselmi: – Cosa ne pensa? Lei che non lo conosceva.
– Ordinato, metodico.
Annuisco. Sembra la casa di una persona fredda, ma lui non era così. Genovese, sì, di quelli che mostrano i sentimenti solo
di rado e soltanto agli intimi. Dovrei chiedere a chi lo conosceva per saperne di più. A mia madre, per esempio.
È per non pensare a quel passo inevitabile che comincio.
La cucina. Apro le ante della credenza: pasta, zucchero... Pane integrale. Le solite cose. Sotto il lavello la pattumiera, con un cartoccio di latte ben pressato, fondi di caffè...
Su una mensola c’è il telefono, un altro è sul comodino accanto al letto con la rubrica. Potrà rivelarmi qualcosa di utile?
Apro i cassetti ritrovando lo stesso ordine e la stessa mancanza di lusso. Eppure con la pensione di medico chirurgo avrebbe potuto permettersi qualcosa di più. Ma forse non lo desiderava.
Dovrò controllare la sua situazione finanziaria.
Il soggiorno è più prevedibile: numerosi testi di medicina, anche recenti, libri di storia, di economia politica, una guida e tre libri sul Cile, tutti recenti; soltanto un romanzo, La casa degli spiriti di Isabel Allende. In un ripiano ci sono però alcuni libri di poesia, piuttosto consunti.
Siamo venuti con un’auto di servizio, ma ora dico ad Anselmi di tornare da solo in Questura e di chiedere alla Scientifica di spicciarsi e al medico legale se ha concluso l’autopsia.
- È il dottor Torrazzi? – mi chiede aprendo la portiera.
- Sì. Perché?
Non risponde, entra ed avvia.
Scendo a piedi verso via Cantore. Fra una cosa e l’altra sono ormai le sei di pomeriggio. Coda, perché ci sono lavori in corso. Sotto i portici, il passeggio avanti e indietro: le vasche.
La vittima aveva i suoi anni, chissà dove andava in piena notte? Forse da conoscenti. Un paziente? Non risulta che esercitasse ancora.
I negozi sono chiusi a quell’ora. Nella zona ci sono dei bar e un cinema a luci rosse. Forse era quella la sua meta o ne stava tornando.
Allora questo è un punto da chiarire: cosa faceva in una zona non lontana da casa sua ma neppure così vicina.
Secondo passo da fare: interrogare i tre giovani.
Terzo: l’autopsia. E quarto: ritrovare l’arma del delitto.
Il quinto sarà sentire chi lo conosceva. Fra gli altri anche mia madre.
© 2008 Fratelli Frilli Editori
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