Ian Fleming scrisse il romanzo spinto dalle critiche alla sua abituale formula narrativa e al suo personaggio. Nulla di nuovo sotto il sole. Aveva successo con un format che esaltava l’eroe, l’avventura il divertimento (intelligente) senza preoccupazioni e i soliti soloni della critica letteraria gli sparavano contro. Bond maschilista, Bond irreale, Bond lontano dalle vette letterarie di molti scrittori hard-boiled. E anche il buon vecchio Ian cadde nella trappola di... tentare qualcosa di nuovo.

Ne uscì un romanzo che sembra fuori continuity, narrato in prima persona da una donna (con a volte risibili risultati, non facile entrare nella psicologia femminile per un intero libro) e una trama priva di vera suspense. I lettori si infuriarono e lo stesso Fleming arrivò a dichiarare di aver “trovato” il manoscritto già scritto così sulla sua scrivania. Cosa che in seguito si rimangiò ma sicuramente imparò la lezione e, cedendo i diritti cinematografici, impose che nulla fosse utilizzato della storia a parte il titolo (che sarebbe La spia che mi amò, quell’imperfetto mi sembra una stupidaggine dei traduttori italiani...).

Per dirla tutta un personaggio con i denti d’acciaio come nel romanzo c’è, ma le analogie terminano là. Jaws (Squalo nella versione italiana) è una trovata fantastica e, per chi ne ha avuto la possibilità, la novelization di Christopher Wood (pubblicata da SuperSegretissimo [n. 3, dicembre 1995] e tradotta dal sottoscritto negli anni ‘90) è davvero uno degli apocrifi migliori.

      

Per continuare a leggere, ecco il link: rubriche/13181/