Pare acclarato che la mamme e più in generale le famiglie non sono per Friedkin quelle della tradizione.
Se ne accorge anche Chris (Emile Hirsch), piccolo spacciatore nelle ambasce perché la mamma (per l’appunto…) si è venduta le sue dosi il che lo pone nella complicata situazione di trovare subito seimila dollari oppure di prepararsi a schiodare da questa valle di lacrime.
Che fare? Semplice, accordarsi con il resto della famiglia (il padre Ansel, la matrigna Sharla la sorella Dottie) per eliminarla così da poter intascare la sua assicurazione sulla vita.
Per fare il lavoro sporco viene ingaggiato il killer del titolo (Matthew McConaughey), che in mancanza della solita caparra si “accontenterà” di Dottie…
Va da sè che non tutto andrà per il verso giusto…
Ci siamo dilungati un poco più del solito sulla trama perché su un canovaccio già visto e rivisto, William Friedkin furoreggia come poche volte abbiamo visto fare ad un regista della “vecchia guardia”, al punto che Killer Joe rischia seriamente di mandare in soffitta nell’ordine i Coen, Tarantino e perfino il Lynch di Velluto Blu.
Notte, pioggia, tuoni e fulmini, una porta si apre e subito un organo genitale femminile in primissimo piano (una neo-origine del mondo ma stavolta frontale…). Una manciata di inquadrature bastano e avanzano per catapultarci dentro una storia che frulla senza un attimo di tregua né di respiro follia, violenza, humor, sesso, sensualità, candore.
Chiaro che Friedkin è ancora un regista d’assalto capace, anche nel caso di trasposizioni di pièce teatrali (Killer Joe è la seconda collaborazione con l’autore teatrale Tracy Letts, autore anche dello script del precedente Bug), di fare cinema fino in fondo con uno stile tutto suo, e anche se in questa circostanza il fiato è un po’ più corto rispetto a quello dei suoi capolavori, lo schermo si incendia con le immagini di un noir estremo eppure perfettamente controllato grazie ad una regia che non arretra di fronte nulla perfino di fronte all’oramai famosa scena della fellazio con una coscia di pollo al posto del pene. Qualcuno l’ha giudicata superflua, ma visto che c’è vale la pena di cercarne il motivo che non il morboso tout court ma qualcosa di più complesso, qualcosa che riguarda i rapporti di forza tra killer Joe e i componenti della famiglia Smith, qualcosa di legato a questioni di comando e sottomissione, tra chi dà gli ordini e chi li esegue, tra cose da fare e cose da non fare, cose tipo vivere o morire (Los Angeles o un altro luogo non fa poi una gran differenza…), cose toste per un ritratto tosto e senza speranza di una certa fetta degli iùesei rispetto alla quale Friedkin in fondo non ha mai cambiato opinione, continuando ad essere il più tosto di tutti.
Il cast non fiata ed obbedisce dando il meglio, McConaughey e Gina Gershon su tutti.
Finale aperto, sospeso, che si lascia dietro di primo acchito la sensazione che qualcosa manchi (ma altrettanto presto ce se ne fa una ragione…).
Rimandi obbligatori: La fiamma del peccato (1947) di Wilder e Onora il padre e la madre (2007) di Lumet.
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