L’olocausto nucleare può essere tutt’ora scatenato con una valigetta? Sì, se è quella che contiene i codici di lancio delle testate, una semplice combinazione numerica che viene variata periodicamente. Il meccanismo è lo stesso negli USA e nella Confederazione Russa.
L’incubo americano alla caduta dell’Unione Sovietica scaturiva da una domanda: chi era il nuovo bagman, l’uomo della valigetta in cui si racchiudevano i numeri per scatenare la fine del mondo? Il sistema precedente rimetteva tutto nelle mani dell’uomo al vertice. Su Gorbaciov si lessero notizie che deragliavano nella fantapolitica: l’ex presidente dell’Unione Sovietica avrebbe barattato il possesso della valigetta con gli americani per conservarsi la poltrona durante il golpe, e da Washington sarebbero venute profferte ai vertici russi di dare agli USA in controllo dei codici di lancio.
Per restare ai fatti, bisogna risalire all’agosto del 1949: quattro anni dopo Hiroshima e Nagasaki, i sovietici fanno esplodere una rudimentale bomba al plutonio. Entrano così anche loro nel “club nucleare”, che all’epoca aveva per unici soci gli americani. Il confronto diplomatico e bellico prende ad adombrare continuamente l’agghiacciante ipotesi del reciproco annientamento. Si coniano le espressioni “equilibrio del terrore” e la sigla MAD (Mutual Assured Destruction: reciproca distruzione garantita) che, per ironia di linguaggio, in inglese significa anche pazzo. Di contro, la guerra fredda favorisce sia negli USA che in URSS la nascita di un truce buonsenso. Se proprio quelle terribili armi devono esistere, che almeno non cadano in mano a potenze di secondo piano, dal grilletto facile. Il trattato di non proliferazione è voluto con forza da Eisenhower e Krusciov e perseguito da Kennedy.
Il nuovo ordine mondiale non attenua, anzi complica i rischi di uno scambio nucleare. L’ex blocco sovietico è divenuto una miriade di schegge, ciascuna con le proprie testate. La Comunità di Stati Indipendenti, con Minsk già definita la Bonn slava, non convince per affidabilità sul controllo dell’armamento atomico di quella che fu l’Unione Sovietica. La precedente struttura militare l’ha infatti distribuito su territori che adesso stanno venendo trasformati in nazioni estranee l’una all’altra. Boris Eltsin si è limitato a prospettare un Consiglio della Difesa, probabilmente presieduto dal Maresciallo Shaposhnikov. L’organismo avrebbe il comando unificato delle forze nucleari situate in Russia, Bielorussia, Ucraina e Kazakhstan. Al massimo, secondo qualche esperto, si potrebbero creare delle forze di riserva come le National Guards negli USA. Ma come si conciliano esigenze di coordinamento militare e volontà irredentiste di stati che si avviano a battere monete autonome ed a parlare lingue diverse? Per giunta, trovandosi a far parte del “club nucleare” per un improvviso diritto ereditario scatenato dalla Storia?
In precedenza la stanza dei bottoni era la Stavka, il quartier generale del Comando Supremo con sede al Cremlino. Nella catena decisionale, al vertice c’era il Presidente del Soviet Supremo, cui spettava materialmente la custodia dei codici di lancio, con sotto di sé il Ministro della Difesa e i relativi assistenti. Il complesso difensivo ed offensivo nucleare era distribuito fra le diverse branche dell’aeronautica. In primo luogo le RVSN (Raketnj Vojska Strategiceskovo Naznacenija), forze missilistiche strategiche. Ad esse erano sottoposte la riserva di testate sovietiche che nel 1988, anno di punta, ammontavano a 33 mila, e le missioni di bombardamento nucleare. Queste ultime però appartenevano di fatto all’ADD (Aviatsija Dal’nevo Deistvija), il comando strategico. l’aeronautica militare vera e propria era la V-VS (Voenno-Vozdushnije Sili: letteralmente “forza aerea militare”). Nel 1980 una riforma accorpò tutta l’aviazione nella V-VS e il controllo strategico multimissione nel VGK (Verkhovnoe Glavnoe Komandovanie), il Comando Generale Supremo.
Del dispositivo nucleare sovietico facevano inoltre parte i bombardieri a largo raggio come il Blackjack, il più grande e pesante del mondo, in grado di trasportare 15 AS-15 oppure 24 missili d’attacco a corto raggio di tipo A-16. Dal punto di vista della difesa, va citato il grande radar multifunzionale PILLBOX, nei pressi di Mosca, a Punshino. Entrato in funzione nel 1990, dà una copertura di 360°, con 100 missili intercettori.
Anche nella VMF (Voenno Morskoj Flot: flotta navale da guerra), la Marina, c’è una componente essenziale dello schema difensivo ed offensivo sovietico, i sottomarini. Poiché l’URSS non aveva sviluppato motori sufficientemente silenziosi, essi non si prestavano a penetrare in prossimità delle acque occidentali, visto anche l’efficiente sistema di rilevazione NATO lungo la linea detta GIUK (Groenlandia, Islanda, Isole Britanniche). I sottomarini delle classi Tifone e Akula, fra gli altri, avevano il compito di stazionare in prossimità delle coste controllate dai sovietici per lanciare in caso di guerra testate a largo raggio verso bersagli occidentali.
Questa potenziale apocalisse nucleare è tutt’ora operante. Completamente svincolata da quello che, prima ancora del vertice politico e militare, era la vera fonte dell’equilibrio sovietico. L’alto funzionario fuggito in Occidente che oggi si trincera dietro lo pseudonimo di Viktor Suvorov lo chiamava “triangolo delle Bermude”: il partito, l’esercito e il KGB. Si controllavano a vicenda e tutti e tre controllavano l’arsenale. Adesso non rimane che l’Esercito. Con ambizioni non sopite di rimettere le cose in ordine. Ma nel quartier generale moscovita dell’Armata Rossa, sul Gogolevskij Bul’vard, potrebbe dilagare la sindrome della frammentazione che ha distrutto l’Unione. Anche i generali hanno nazionalità diverse e potrebbero essere tentati di schierarsi a fianco di questo o quel contendente in caso di conflitti fra le repubbliche sui confini e tra le minoranze etniche.
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