È probabilmente con questo film che la fama di James Bond 007 (cinematografico) si consolida definitivamente. Ne sono testimoni persino alcune battute che riflettono quanto Bond fosse diventato fenomeno di costume, a tal punto da non potersi esimere da una battuta sui Beatles, altro fenomeno (anglosassone) del momento. Poi ci sono l’Aston Martin con il sedile eiettabile, la ragazza tutta d’oro, Oddjob con la sua bombetta con il filo metallico, il coinvolgimento di Honor Blackman che veniva da Avengers (Agente speciale con Patrick Macnee) altra serie TV di grande impatto. Non ultimo arriva il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nella trama.
Il fulcro dell’azione infatti è l’operazione Grande Slam, l’assalto a Fort Knox, concepito da Goldfinger con l’idea di rendere radioattive le riserve auree USA per decenni accrescendo così il valore delle sue e rovinando l’economia occidentale.
Di questo risvolto più politico si occupano i cinesi nella figura del dottor Ling, stereotipato ma efficacissimo scienziato dei... Rossi.
La storia resta comunque lontana dai temi della Guerra fredda e ripropone una sfida tra uomini.
Bond, dipendente statale, audace, bon vivant ma anche indipendente, immune al fascino della ricchezza ma non insensibile a quello muliebre (tanto da convertire all’amore eterosessuale la bella Pussy, reginetta del suo circo volante tutto al femminile). Contro di lui c’è Auric Goldfinger, ebreo, ricco, grasso, baro al gioco, che paga le donne ma solo perché si facciano vedere con lui e le punisce in maniera spietata per i loro tradimenti. Gert Froebe è semplicemente bravissimo nel tratteggiare un villain carismatico ancorché sgraziato. La sua battuta «Parlare, signor Bond? Io mi aspetto di vederla morire» resta un classico della serie.
Alla fine lo spettatore medio si può identificare nella parte migliore di Bond e anche lottare contro il riccone. A questo aggiungiamo i gadget, i trucchi, l’umorismo nero e il gioco è fatto.
Bond che emerge dal mare con una tuta di neoprene e sotto indossa uno smoking perfetto. Il segnale che il mondo di 007 è il nostro, ma filmato da un’angolazione leggermente differente, come diceva Fleming: «vicende improbabili ma non impossibili».
E sempre realistiche restano le scene di lotta, con il sicario dei trafficanti all’inizio con Oddjob. Harold Sakata era un esperto di Jujitsu, praticante di Catch. Nel romanzo è un coreano esperto di karate (più probabilmente tae kwon do) che con un calcio volante fa a pezzi una statua a casa di Goldfinger solo per dimostrazione. Bisogna dire che all’epoca in cui fu scritto il romanzo il karate e le discipline di percussione marziali erano quasi ignote al pubblico occidentale che a malapena identificava il judo con la “lotta giapponese”. Nel film oltre alla letale bombetta si muove e combatte come un Wrestler. Qualche colpo (immancabile) con il taglio della mano ma soprattutto prese di lotta. E il confronto finale con Bond resta un piccolo capolavoro, anche se oggi, abituati alle prodezze del cinema marziale con cavi ed effetti speciali, forse lo rifarebbero più spettacolare. Ma questa è l’immagine di Bond rimasta nella nostra mente.
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