Tre passi. Quasi sempre ci sono tre passi da fare per arrivare da qualche parte. Spesso sono passi simbolici, metaforici, sono la rappresentazione di un cammino da sviluppare in senso artistico, letterario.
Io non credo che quando Marilù Oliva abbia fatto fare il primo passo nella vita a Elisa Guerra (2010 – ¡Tú la pagarás! – Elliot) sapesse già dove Elisa sarebbe arrivata con il secondo passo (2011 - Fuego – Elliot) e poi con il terzo. Non ci credo che dietro a quella genesi, tanto spontanea se pure definita e precisa come un congegno ad orologeria nei meccanismi dell’indagine, del delitto, ci fosse un itinerario di vita prestabilito, per arrivare, per far arrivare Elisa La Guerrera dove è finalmente arrivata in conclusione di Mala Suerte (2012 – Elliot).
Parto subito dall’esorcizzazione di una paura già espressa in precedenza; non ci credo, non posso credere che dopo questi primi tre passi di vita Marilù Oliva possa veramente decidere di lasciare la mano (intinta in sangue e inchiosto nero) de La Guerrera e smettere di raccontarci di lei.
Se i primi due passi/romanzi di Marilù mi erano piaciuti – tanto – questo terzo ha superato ogni mia aspettativa, sotto ogni punto di lettura. La qualità della scrittura, piena e compiuta, senza neanche una zona d’ombra, scevra di qualsiasi sfrido, imperfezione, aggettivi, sostantivi, copule (!) e pronomi al loro posto, perfetti, le parole giuste al posto giusto; il che in un mondo di “sfumature” letterarie che riempiono scaffali di librerie con la loro dozzinalità è un miracolo lessical grammaticale.
I personaggi perdono ogni alone di incertezza, sono definiti a tutto tondo, con un tratto che non lascia più nessuno spazio ad ambiguità, Elisa fa finalmente i conti con sé stessa, arriva a toccare consapevolezze che nei due romanzi precedenti erano solo intuibili, erano solo ricordi sfumati. Ora sono punti chiari e chiave, sono tracce nitide come quei semi di sesamo che si raccolgono da una tovaglia bianca, distinguibili ed evidenti. Elisa è cresciuta, è donna, è persona consapevole di quello che è stata, di quello che è, sceglie, decide, esce dall’imbarazzo e impara a distinguere i cattivi maestri dai buoni esempi. Paga il debito con la sua vita e si mette in credito con il destino, basta “mala suerte”, la vita se la disegna dicendo si, no, eliminando i sensi di colpa indotti dagli altri. Fa i conti con il suo passato e si accorge, decide, di essere in attivo. Sceglie di scegliere.
Accanto a lei, finalmente vicino e non tre passi indietro, l’ispettore Basilica. Anche lui definito, nitido e consapevole, emancipato dall’ombra di mamma, moglie e tradizioni. Non più solo spalla, ma finalmente complice ed insieme rivale di Elisa, in un rapporto costruito insieme, mischiando le carte e le regole, inaspettatamente e naturalmente. Così come devono andare le cose. Come Elisa anche Basilica, dopo tre passi, sceglie di scegliere.
Elisa e Basilica si staccano anche dalle figure secondarie, alle quali nei primi due romanzi era forse stato concesso fin troppo spazio, mentre ora tornano ad essere quello che devono, che è giusto che siano. Sfondo, comprimari, sagome su cui poggiare i fatti e gli episodi, punti di appoggio e di confronto per quello che deve succedere, che succede a Elisa e Basilica.
Il passo più importante, però, quello definitivo che accompagna Marilù Oliva nel circolo dei grandi scrittori – non solo “di genere” io aborro le classificazioni letterarie – è la maturazione che finalmente, in questo terzo passo, in questo “Mala suerte”si compie nella scelta narrativa, oltre la qualità oggettiva della scrittura, oltre l’affettività ormai consolidata verso i personaggi Guerrera & Basilica, Marilù Oliva esce dal loop ristretto e virtuale Salsa-Riti-Sesso estremo per confrontarsi con la quotidianità, banale e casuale, del male spicciolo, quello che non conosce confini di ambiente e di nazione. Il male praticato per noia, soldi e sopraffazione, il male vigliacco di chi cerca il più debole, perchè è l’unico modo che ha per sentirsi forte, da solo – El Pony – o in gruppo. Come la sua protagonista alter ego finalmente Marilù è abbastanza forte per rappresentare il male per quello che è, squallore e sporcizia, violenza inutile, e quando il male si veste di sesso solo chi sa di scrivere cose “giuste” riesce a farlo senza scadere nella morbosità, senza ribaltare la rappresentazione della violenza in un esempio che possa costituire emulazione.
Il “giallo”? la trama? Indizi, indagini, sospetti, meccanismi e prove? Sono solo dettagli, strumenti come prima ho scritto dei comprimari, sono solo un pretesto stilistico, una cifra che appartiene a Marilù, ma non sono la cosa più bella ed importante di questo terzo passo, di questo libro, di questa storia. Se dovessi dare un suggerimento per uno slogan, per questo libro, sarebbe “non compratelo perchè è un giallo, leggetelo perchè è un bellissimo romanzo.”
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