«Il vero trafficante d’armi è lui. Speravo che uscisse allo scoperto, in modo che fosse possibile incriminarlo. Ma non si è compromesso.»

Santos guardò i due manichini da crash-test all’interno dell’Audi, un’auto che la Guardia Civil aveva sequestrato l’estate precedente a una coppia di trafficanti di extasy. Era identica a quella che la donna della stanza 1203 aveva tenuto negli ultimi giorni nel garage del Gran Hotel Noble, riprendendola qualche ora prima per lasciare l’albergo.

«E quella Concepción Miranda?» domandò l’uomo della DNI.

«Non esiste» rispose Nick. «Era una nostra esca. La storia che ti ho raccontato a proposito di Ibiza serviva a far circolare il suo nome alla DNI, in modo che arrivasse alle orecchie di Escudero. Come infatti è successo.»

«Mi stai dicendo che nei nostri uffici c’è gente di cui non mi posso fidare?»

Nick alzò le spalle. «A parte Concepción, tutto quello che ti ho detto è vero, come hai potuto vedere. Anche se non abbiamo niente che possa essere usato in tribunale.»

«Quindi Escudero se la cava, protetto dai miei colleghi», commentò Santos, amareggiato.

Nick prese di tasca il cellulare, lesse un messaggio e scrisse una risposta di due caratteri. Poi allargò le braccia. «Dovremo affidarci alla giustizia divina.»

13

Madrid, dieci minuti prima

«Sta salendo», disse la voce di Jorge Romero, dall’auricolare. «È solo.»

«Ricevuto», rispose Mercy.

Era entrata nell’appartamento seguendo le istruzioni che Angel le aveva scritto a mano nel pomeriggio, un biglietto che le aveva passato Nick e che lei aveva letto, memorizzato e bruciato. Neppure questa volta era riuscita a incontrare Angel di persona. Ma a mezzanotte e venti aveva ricevuto una sua telefonata: l’appuntamento ad Arganda del Rey non aveva portato ad alcun risultato ai fini della loro missione. Era il momento del piano B.

Mentre Jorge, sulla terrazza del Gran Hotel, teneva d’occhio la porta Privato, lei era salita dalla scala antincendio fino al balconcino dietro il bar, augurandosi che nessuno decidesse di prendere una boccata d’aria proprio in quel momento. Aveva lanciato verso l’alto una corda con un peso a un’estremità, facendola scorrere intorno al corrimano del balcone dell’appartamento di Escudero. Si era arrampicata, ritirando la corda per evitare che qualcuno la scoprisse. In attesa che il colombiano rientrasse a casa, accese il computer, indossò un paio di guanti da chirurgo e aprì Word per digitare poche righe. Appena Jorge le annunciò l’arrivo del colombiano, si appostò accanto alla porta e prese il bastone retrattile che portava appeso alla cintola.

Sentì i passi sulle scale, il rumore delle chiavi.

Appena Escudero entrò nell’appartamento, lei lo colpì alla testa, senza dargli nemmeno il tempo di accedere la luce. Altrimenti forse avrebbe notato il telo di plastica che lei aveva disteso sul pavimento, per evitare che restassero eventuali tracce di sangue sulla moquette. Richiuse la porta, a chiave, riappese il bastone alla cintura e si chinò sull’uomo.

Il colpo era stato letale. A volte uccidere era maledettamente facile.

Poi Mercy aprì la porta-finestra. Trascinò il corpo sul telo di plastica, fino al lato del balcone sopra la piscina dal soffitto vetrato. Fece un rapido controllo nell’appartamento, sapendo che poi avrebbe avuto solo pochi secondi per andarsene. Non aveva lasciato tracce. Il computer era acceso e dietor il salvaschermo c’era il breve messaggio di addio di un uomo che ammetteva le proprie attività criminali prima di suicidarsi.

Ultimo atto: Mercy tornò sul balcone, sollevò il corpo di Escudero e lo mise a cavalcioni del parapetto. Una spinta, poi il fragore dei vetri e dell’intelaiatura che cedeva, seguiti da qualche urlo mentre con un tonfo il corpo sprofondava nell’acqua della piscina.

Lei ripiegò in fretta il telo di plastica, che fece sparire sotto il maglione nero, poi tornò sull’altro lato della terrazza e si calò sul balconcino. Recuperò la corda e scese di corsa dalla scala antincendio.

Jorge l’aspettava in strada al volante dell’Audi, con il motore e il riscaldamento accesi.

Mentre lui partiva, Mercy, sul sedile del passeggero, inviò un SMS a Nick. Poco dopo ricevette la risposta: un laconico OK.

Sentì qualcosa in mezzo ai piedi, sul pavimento dell’Audi davanti al sedile. Un sacchetto di plastica. «E questo?» domandò.

«I soldi dei bulgari... il poco che ne è rimasto» rispose Jorge. «Un piccolo dono dei Re Magi.»

«Andiamo da qualche parte a berceli», propose Mercy.

Non aveva più bisogno di restare lucida. Quella notte non doveva uccidere nessun altro.

FINE

© 2012 Andrea Carlo Cappi