Inutile negarlo, James Bond 007 ha avuto un’influenza fondamentale sulla formazione del mio immaginario e sulla creazione del mio lavoro narrativo. Se scrivo principalmente spy story lo devo a 007.
Questo senza rinnegare influenze a volte anche molto differenti che hanno fatto sì che Il Professionista sia, nel suo genere, un personaggio con caratteristiche uniche e anche diverse da quelle del modello di Ian Fleming. E, ricordiamolo, Chance Renard non sarebbe il personaggio che è senza tutto l’apparato letterario e iconografico legato a Segretissimo.
Per la verità nei primi anni ’70 ho letto molti più Segretissimi che romanzi di Fleming, però a livello di struttura e immagini Bond ha rappresentato sempre un modello primario. Sinceramente è al Bond cinematografico più che a quello letterario che sto pensando.
I romanzi di Fleming li lessi comunque ma, a confronto di Segretissimo, mi parevano più lenti. In effetti datavano quasi vent’anni prima e avevano altri meriti che apprezzai in seguito durante fasi di rilettura critica, rispetto ai Segretissimi che forse erano scritti con minore cura ma, sotto il profilo della struttura narrativa, erano decisamente più “forti”, direi più moderni. L’impatto però del Bond cinematografico (che è comunque un po’ diverso, più avventuroso e meno noir di quello letterario, anche negli episodi migliori) fu trascinante, tanto da influenzare i miei gusti. Di fatto Segretissimo mi piaceva quando mi ricordava il Bond cinematografico.
Non so se sia giusto o sbagliato, ma la mia formazione è stata questa ed è dalla revisione di quei film, in alcuni casi avvenuta negli anni decine di volte, che ho appreso moltissimo sul linguaggio, sulla visualizzazione delle vicende, sulla struttura della trama.
Nel 1962 si celebrano i 50 anni della saga cinematografica ufficiale di 007. Tralasciando il Casinò Royale del ’67 (semplicemente non c’entra nulla) e Mai dire mai dell’83 (divertente ma un po’ patetico), Bond è quello espresso nei 23 film prodotti da Albert R. Broccoli (e fino a un certo punto anche da Harry Saltzman).
Non importa il viso. Sean Connery, George Lazenby, Roger Moore, Timothy Dalton, Pierce Brosnan e Daniel Craig. Si possono stilare classifiche, ricordare il primo e trovare meno opportune o superate altre scelte, elogiare il cambiamento portato dall’ultima evoluzione del personaggio, ma Bond rimane Bond. Indiavolato, vigorosamente maschile, improbabile ma non impossibile. Eroe in un mondo che ha bisogno di eroi, calato in una realtà che assomiglia alla nostra eppure, sottilmente, non lo è. È Lager than Life, divertente, spregiudicato, politicamente scorretto come dovrebbe essere un vero eroe d’intrattenimento.
Bond non fa politica, non prende posizione nei dibattiti sociali. Bond è Bond, compie il suo dovere per ataviche pulsioni, ma sa godersi la vita quando capita. Bond cambia donna perché «altrimenti sarebbe come ammirare sempre lo stesso panorama», ma al tempo stesso è leale e appassionato. Rischia la vita per la compagna del momento, combatte contro nemici sempre più ricchi e socialmente convinti di essere superiori a lui. Fa parte di una famiglia dove solo occasionalmente ci sono talpe e traditori. Un mondo dove non esiste meschinità.
Infantile? Superato? Io penso di no. E la riprova è che anche i più fulgidi esempi di anti-Bond alla fine ne ricalcano la formula cambiando solo in superficie gli elementi. Prendete Harry Palmer, l’agente senza nome di Len Deighton. Nella versione cinematografica proposta con il viso di Michael Caine alla fine non è poi così diverso da Bond. Sa fare a cazzotti quando serve, gli piacciono le belle donne che conquista magari offrendo loro succulenti pranzi cucinati ad arte (ma anche Roger Moore lo faceva in Bersaglio mobile). Porta gli occhiali ma, alla fine, che differenza c’è?
E anche Smiley di John le Carré se guardiamo anche semplicemente l’ultima versione cinematografica de La talpa, è un Bond più anziano ma dimostra di essere anche più spietato del suo ideale antagonista. Certo Connery sparava a sangue freddo al professor Dent rimasto senza pallottole, ma ciò avveniva subito dopo che il servo del dr. No aveva cercato di impiombarlo (senza parlare dello scherzetto della tarantola). Smiley, quando umilia Estherase minacciandolo di un ritorno forzato in Ungheria, non si smuove. Lo tortura psicologicamente fino a farlo piangere. Forse 007 non sarebbe arrivato a tanto. E magari non avrebbe armato la mano di Prideaux per eliminare Haydon. Omicidio imposto dal dovere? Forse. O magari la vendetta del marito tradito. Se non sapessimo che la saga prosegue diversamente potremmo pensare che Smiley, nell’ultima scena de La talpa, sia la migliore spia di Karla. Bond è spietato ma in maniera diversa come solo gli eroi di quel mondo ideale - che poi è ciò che chiede chi legge per evadere e divertirsi - possono essere.
Comunque volgiamo metterla, la spia della fantasia è un duro. Chi colpisce con la pistola, chi con i trabocchetti. Ma non c’è posto per rinunciatari, depressi, scoraggiati. È la regola del gioco. Quella che poi emerge dal grande cinema d’avventura. Si legge e si guarda per staccare dalla routine, dalle meschinità per poi tornare nel mondo reale coscienti che è differente da quello della fantasia. Niente di più. E neanche niente di meno.
Il Professionista (e il suo autore) vi racconteranno quindi i 23 Bond cinematografici da questo punto di vista. Con aneddoti, curiosità, cercando spunti trasferibili oggi sula pagina scritta.
Non vuol essere un’analisi esaustiva sul fenomeno Bond cinematografico, questa raccolta di articoli. Un omaggio di un appassionato e di un narratore che, con grandissima umiltà e altrettanto grande entusiasmo, ha cercato di imparare qualcosa da una formula di successo e crearne una propria. Parola del Professionista.
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