In questi giorni di maestrale ho letto con grande piacere il libro d’esordio L’allieva (Longanesi, 2011), della messinese Alessia Gazzola, trentenne specializzanda in medicina legale, che ha in uscita il prequel per l’autunno ed ha già pubblicato il sequel: Un segreto non è per sempre (uscito quest’anno, sempre per Longanesi), la cui trama è collocata sette mesi dopo la conclusione di L'allieva.
L’allieva è una ragazza che ha ancora da imparare, ma molto sveglia oltre la sua innegabile, dolcissima sbadataggine. Specializzanda in medicina legale, Alice Allevi si ritrova a perfezionarsi in un Istituto di Medicina Legale che ama profondamente, ma da cui pare inizialmente essere respinta: i superiori e i suoi diretti referenti le sono ostili, rischia addirittura di ripetere l’anno e non gode certo della stima altrui, questo in un ambiente di lavoro in cui la struttura piramidale le sbatte in faccia, ad ogni occasione, la posizione in cui le leggi gerarchiche relegano i non-protetti e gli ultimi arrivati.
L’allieva però non si dà per vinta. Ogni tanto si scoraggia, è vero – chi non si scoraggerebbe di fronte a tali umiliazioni? –, inciampa, si rialza, magari con il conforto del fascinoso, sfuggente Arthur o grazie alla simpatia della coinquilina nipponica Yukino. I personaggi umani sono descritti e collocati nel contesto con buona riuscita, basti pensare a Claudio, “rampante medico legale in carriera”, aitante, opportunista ma non malvagio, seducente, uno che sa strizzare l’occhio al momento giusto e ha sempre la frecciatina pronta. Vediamo come la storia si dipana. Data la sua specializzazione, Alice è abituata a confrontarsi con la morte, ma un sopralluogo sulla scena del crimine in un lussuoso appartamento romano la fa trasalire. Perché conosceva, seppur solo da poco tempo, la ragazza distesa cadavere ai suoi piedi: Giulia Valenti. Si scoprirà che il decesso è avvenuto per shock anafilattico provocato da paracetamolo, di cui la Valenti era allergica. Oltre alle indagini portate avanti dalla polizia – nella persona di Calligaris – e oltre alle analisi effettuate dall’equipe dell’Istituto, la Allevi porta avanti sue personalissime ricerche, avvalendosi in primis di un intuito non da poco.
È stato contestato da alcuni puristi del genere la definizione di medical thriller e si è preferito optare per quella di giallo-rosa, in virtù della liaison che scorre tra la protagonista e il giornalista Arthur. Vorrei dire due paroline a proposito, premesso che nemmeno l’autrice ha rinnegato la portata rosa di alcune pagine. Quanto a stile ironico, ho ritrovato delle contaminazioni alla Bridget Jones – del resto anche alla Fielding erano state riconosciute numerose analogie con Jane Austen – e quello che non capisco è perché alcuni lettori arriccino spesso il naso di fronte alle ibridazioni. La trama gialla non emerge in primissimo piano, ma questa è una scelta voluta – non dimentichiamo che il percorso investigativo è tracciato da un’esterna alla polizia e ciò complica le cose perché non le consente accesso diretto alle indagini –: tuttavia il filo giallo si mantiene come leit-motiv.
Le parti autoptiche e scientifiche sono quelle che mi hanno colpita di più. Ma non solo. La trama regge, la scrittura è fluida e piacevole e condita con una buona dose di humor. E lo spirito di subordinazione, di chi deve piegare spesso la testa al giogo dei superiori, è riportato in modo tale da creare un impatto empatico col lettore, tanto che questi si augura che alla specializzanda si esaudiscano i desideri:
«Arriverà il giorno in cui tutto questo sarà passato. In cui non dovrò prostrarmi ai miei superiori per ottenere quel che è mio di diritto. Arriverà il momento in cui il nome alla fine della perizia sarà il mio».
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