Come abbiamo visto quando ci siamo spinti fino in Botswana, è davvero difficile trovare degli autori africani noir autoctoni. L’altra volta si era trattato di un britannico nato e vissuto a lungo nel paese; qui ci troviamo invece davanti a uno scrittore marocchino sì, ma che poi si è trasferito in Francia, nella cui lingua ha scritto questo romanzo. Oltre tutto Driss Chraïbi, nato nel 1928, è una forte personalità nel mondo della letteratura magrebina contemporanea e si è dedicato al giallo, con il ciclo dedicato all’ispettore Alì della Polizia Reale del Marocco, in maniera non continuativa e soprattutto utilizzando il genere per poter parlare, in modo divertito e divertente, dei problemi socio-culturali che più gli stanno a cuore.
Paradossalmente il volume eponimo (L’ispettore Alì, uscito in Italia nel 1992 presso l’editore Zanzibar) è il secondo in ordine di uscita e non vede come protagonista l’ineffabile detective, bensì il suo fantomatico creatore, B. O’Rourke, uno scrittore che altri non è che l’alter ego dello stesso Chraïbi. Viceversa L’ispettore Ali al Trinity College, pur essendo il terzo romanzo del ciclo, apre la trilogia poliziesca che recentemente Marcos y Marcos ha voluto pubblicare in un unico volume col titolo complessivo di L’ispettore Alì e il Corano.
Tornando al nostro romanzo, con il pretesto di smascherare l’assassino di una bella principessa marocchina in soggiorno di studio in Inghilterra, Chraïbi ci offre un quadro agrodolce dell’attrito tra cultura arabo-marocchina e anglo-europea facendo muovere per Londra e dintorni il suo spassosissimo investigatore.
Forte del suo infallibile metodo “illogico” (“saltare di palo in frasca”), Alì si rivela un impasto originalissimo di tradizione e modernità: può indossare la djellaba e sorbire estasiato il tè che si prepara con le sue mani, ma poi rivela una buona conoscenza della cultura, e in particolar modo della poesia, occidentale; ama alla follia la sua sensuale Sophia, ma non tralascia di corteggiare un po’ rudemente l’avvenente ispettrice Kelly; ironizza sui tic personali e culturali dei docenti britannici, ma non risparmia neppure il dotto islamista che farnetica dall’alto di una cattedra londinese.
Il vero movente che lo spinge a investigare però non è tanto la curiosità intellettuale, il gusto della sfida “enigmistica” o men che meno la ferrea obbedienza agli ordini superiori (ha viceversa un atteggiamento assai prossimo all’insubordinazione grave e in Marocco lo tollerano solo per i suoi risultati), ma piuttosto l’interesse umano per la morta, per la sua avventura intima faticosamente apertasi nel soggiorno londinese e bruscamente interrotta da una mano omicida che, con sapiente colpo di scena finale, verrà rivelata nell’ultimo capitolo.
Questa profonda umanità riscatta Alì da certe sue intemperanze, non sempre divertenti, e dalla sua smania citazionista che ne frena un po’ la verve: anche la storia, pur completa nell’intreccio, è abbastanza esile (come le altre due d’altro canto) e mostra abbastanza scopertamente il suo carattere di colto divertissement di un scrittore costantemente sul crinale di due culture.
Il romanzo comunque, se lo si esamina da un punto di vista strettamente tecnico che prescinda dal valore letterario in senso lato, è gradevole e contribuisce ad arricchire il panorama, in questi ultimi anni assai vasto, dei detective esotici che affollano le nostre librerie.
Voto: 6.5
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