Dopo cinque anni trascorsi in carcere e dopo avere sempre dichiarato la propria innocenza, Emma ha la possibilità di ottenere la libertà condizionata.
Ma cosa è accaduto davvero tra Rose ed Emma? E cosa nasconde la morte prematura del neonato, quando le due donne erano insieme all'ospedale?
Un neonato morto e due amiche. Una è la madre del bimbo, Emma, l’altra è Rose, condannata per averlo ucciso e implicata comunque in un rapporto apparentemente anomalo col piccolo,basti pensare che lo allattava lei e non vedeva l’ora che la madre se ne andasse per godersene l’esclusività:
«Fu un sollievo sentire la sua auto allontanarsi veloce. Eravamo soli, finalmente. Tutte quelle settimane passate a bramare quel bimbo, a rubargli dei baci quando lei usciva dalla stanza, e adesso era tutto per me, almeno per venti minuti. Puoi immaginare quanto fosse meraviglioso? E poi il motivo per cui si stava tranquillizzando era chiaro, era per via del suo istinto: aveva scoperto il mio segreto, si era accorto del mio latte, mi stava odorando e con la bocca lasciò un cerchio umido sulla camicia. Fu il suo sogno più che il mio a farmi sbottonare.
Anche se non avevo mai allattato, i miei seni erano pieni di latte».
“La donna nell’ombra” è Emma, che vive nell’ombra una vita segnata da privazioni, aneliti frustrati, mancanza d’amore, lo spettro di un figlio perso e il desiderio insopprimibile di maternità.
L’autrice non sbaglia ad ambientare parte del romanzo in prigione: Ruth Dugdall ha lavorato per dieci anni come funzionario responsabile della sorveglianza di condannati in libertà vigilata.
Thriller che si discosta dai cliché convenzionali perché evita i luoghi comuni dell'indagine - affida a una psicologa l’incarico di esprimere il parere sull'uscita anticipata dal carcere di Rose e dipana la potenziale detection tra le pagine e il diario nero della protagonista - questo romanzo ha rivelato il talento narrativo di Ruth Dugdall facendone a sorpresa una delle stelle del nuovo noir inglese: un thriller psicologico di straordinario impatto emotivo da molti paragonato a “Non ti addormentare” di S.J. Watson.
«Mi guardo allo specchio, sembro vecchia. Nonostante la mia età non mi sento affatto giovane. La prigione mi ha invecchiata, mi ha resa cinica. I brutti posti fanno fare brutte cose. Così anche le brutte esperienze».
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