Certo l’Europa doveva essere un gran bel posto, a cavallo della Grande Guerra, per i geni del crimine! Niente a che vedere con la rozza America, che nello stesso periodo riusciva al massimo ad albergare qualche epigono di Jessie James, o dei fratelli Dalton: briganti squisitamente locali, svaligiatori buoni al più per dar lavoro a qualche agente della Pinkerton, nonostante i titanici sforzi di Hollywood per trasformarli in eroi nazional-popolari. C’era stata è vero la Mano Nera, pittoresca organizzazione di immigrati nostrani. Ma anche lì siamo al livello di taglieggiatori di pizzerie, una specie di banda della Magliana in versione newyorkese di cui non si accorge nessuno fuori dai confini di Little Italy.
L’Europa è invece il cuore del mondo, ancora. Un luogo dove si può pensare in grande, dove il delitto non è tanto un mezzo per sbarcare il lunario quanto un possente nutrimento dello spirito. Ha aperto i giochi in piena Belle époque un certo prof. Moriarty, il Napoleone del crimine. Siamo però ancora nell’infanzia del Grande Disegno: Moriarty è un demonio in redingote, cela le sue doti sotto modi discreti, rifugge dai riflettori della ribalta. Solo il paranoico e cocainomane Holmes si ostina a riconoscerne la traccia velenosa tra i trafiletti della cronaca nera del Times. È in realtà un fanciullone, attratto come un bon sauvage dalle perline lucenti più che dal Potere. E se tenta il colpo sul tesoro della Torre, non è per impadronirsi dell’Impero (per il quale, scommetto, prova anzi il massimo rispetto), ma per poter giocare nel chiuso della sua residenza tuffandosi tra diamanti e altre gemme d’Oriente, come un Paperone vittoriano.
E c’è bisogno davvero di un nome così, per quello che sta per raccontare. Perché Arthur, rovistando tra i bassifondi della città, si è imbattuto in un personaggio peculiare, che farà la sua fortuna. Nel pulviscolo di strade maleodoranti dove hanno trovato rifugio gli immigrati dal Celeste Impero, tra le rosse lampade dei bordelli e le ambigue porte delle fumerie d’oppio, ha cominciato a correre la leggenda di un uomo tenebroso, una specie di Signore della guerra trapiantato dal Levante, che tutto domina come un imperatore dei bassifondi, temuto e incontrastato tra le gang che si spartiscono il ristretto territorio nell’East End, quattro stradacce dalle parti di Limehouse. Arthur si mette sulle tracce dell’uomo, che risponde al poco intrigante nome di mr. King, e con l’ostinazione e lo sprezzo del pericolo tipici della sua razza riesce finalmente a incontrarlo, in una notte nebbiosa, nel vicolo dove tiene corte. La porta di una limousine si apre, e ne scende un uomo in abiti orientali, seguito da una splendida donna che sembra uscire dalle Mille e una notte.
Arthur resta a bocca aperta per quello che vede: «Imagine a person, tall, lean and feline, high-shouldered, with a brow like Shakespeare and a face like Satan, a close-shaven skull, and long, magnetic eyes of the true cat-green. Invest him with all the cruel cunning of an entire Eastern race, accumulated in one giant intellect, with all the resources of science past and present, with all the resources, if you will, of a wealthy government...»
Il francese ha preparato le coscienze ad aspettarsi di tutto dalla Cina. Arthur intuisce che mr. King non è soltanto un uomo: è un continente. E ne prova tanto rispetto che quando decide di raccontarlo in un romanzo gli sembra che i nomi non vadano proprio bene, per tanta grandezza. E così è Sax Rohmer che scrive The Mystery of Fu Manchu, il primo di una serie di romanzi, e mr. King assume il nome dell’antica stirpe imperiale, come Sax ha fatto con quello dei castellani.
Intanto, in quegli stessi anni, vive nella sonnacchiosa Bruxelles un altro curioso personaggio, tale Norbert Jacques. Che invece non cambierà mai nome, nonostante si trovi, ad un certo momento della sua vita, con ottimi motivi per farlo.
(à suivre)
Aggiungi un commento
Fai login per commentare
Login DelosID