Mala Suerte è particolare, perché conclude (non per sempre, così speriamo) la Trilogia della Guerrera e l’evoluzione dei suoi più importanti personaggi, ma nello stesso tempo costituisce romanzo a sé, autonomo, come già lo erano i precedenti Tu la pagaràs! e Fuego (tutti e tre editi dalla romana Elliot Edizioni).
Mala Suerte coinvolge il lettore negli interrogativi che da sempre consumano l’uomo: esiste la Fortuna? esiste il Destino? Le due tesi opposte sono rappresentate dalla dolce Catalina che è astrologa, alchimista ma anche grande sostenitrice del destino e la sua coinquilina Elisa Guerra, La Guerrera, grandissima antieroina miscredente che ci ha fatto innamorare con i suoi vizi. Ne ha parecchi, di vizi e difetti. Rum, fumo, uomini dalla pelle scura, salsa, disinganno, cuore duro. È cresciuta sotto le sferzate di una prozia aspra, che l’ha costretta a imparare Dante a memoria. E così Dante si svela a lei e di rimando al lettore nei momenti più opportuni. Lo fa con garbo, senza pedanteria, qualche verso sottratto all’inferno o al purgatorio, di rado al paradiso perché la Guerrera è una che ci crede poco, ai paradisi.
Ma non è Dante l’epicentro di questo romanzo noir (l’ha confermato Carlotto nello strillo: Con questo bel romanzo La Guerrera entra a pieno titolo nell’Olimpo dei personaggi del noir italiano). Vengono commessi due omicidi collegati al cloroformio e a una baby gang fatta anche di latinos e nemmeno questi, in realtà, diventano la preoccupazione principale del lettore. Anche se le indagini vengono svolte con precisione e torna l’impeccabile e impacciata anatomopatologa Virginia Buldini, ciò che davvero interessa il lettore sono le vicende umane. Ce la farà La Guerrera a trovare un lavoro decente? Continuerà a trascinarsi le notti in losche discoteche, struggendosi per ogni salsa che non ballerà? E l’ispettore Basilica, che già avevamo lasciato affascinato da lei, come la metterà con quella brava mogliettina che lo aspetta a casa tutte le sere e di cui a lui non importa più nulla? Si aggira gente senza scrupoli in una Bologna insidiosa. Una Bologna la cui planimetria l’autrice ha più volte paragonato a una ragnatela, concludendo: «Non mi meraviglierei se da un momento all’altro sbucasse un ragno gigante». Ecco, in questa ragnatela che inganna i pericoli non sono animali giganteschi, ma i mostri che si annidano dentro di noi. I mostri generati dalla povertà, dalla precarietà, dagli omaggi al dio denaro. Dall’avidità, dall’incuranza degli altri, da un sistema che se ne approfitta dei più deboli. Le piccole lotte quotidiane della Guerrera sono metafora di conflitti più alti, sono un grido contro le ingiustizie di sempre di cui si macchiano gli uomini.
Sopra ogni scelta, oltre a ogni caduta e a ogni lotta le domande sul destino e sul libero arbitrio scivolano tra le righe del libro fino alle riflessioni individuali del lettore, perché qui nessuno ha torto o ragione, all’Oliva non interessa rivelare verità, le piace però ammiccare al mistero della vita. E della morte, che poi in fondo in fondo sono attigui.
Qui troverete azioni e riflessioni sempre in equilibrio tra loro, descrizioni. Le ballerine che dominano il mondo della salsa ne sono un esempio:
«Adolfo ha deciso di rimpinguare il locale di nuove bellezze, due ballerine da urlo, una peruviana e una boliviana. Più una ragazza immagine nata a Milano da madre italiana ma frutto di diverse etnie, Alyssia Romer. Fisico da nera compresso in una pelle tahitiana, occhi ambrati da zingara presi in chissà quale incontro fugace di padri primigeni viaggiatori, Alyssia indossa solo completi in pelle – ne ha di ogni colore nel suo straripante guardaroba, pelle vera, da boutique, e stasera ha scelto quelli color camoscio chiaro scanalato in giallognolo – superattillati, in genere pantaloni e top scollato, poi col ballo suda di brutto e sulla pelle si forma una patina lucida che sembra spalmata apposta. Dal nonno paterno ha ereditato i riccioli nigeriani, fitti fitti, che tiene corti uguali, cosicché il viso esotico è incorniciato da un casco a tutto tondo tinto di quel biondastro che nei capelli afro digrada in marroncino-arancio».
Una bella lingua scattante, con punte liriche, volgarismi, citazioni eleganti, proverbi spagnoli e poche traduzioni, perché spesso si lasciano intuire. Una nota particolare di merito va alla riproduzione dell’itañol di alcuni dialoghi, quell’idioma che è ibrido italiano-spagnolo utilizzato dagli ispanici.
(Serena Todaro)
Premetto che non sono un critico letterario e che leggo solo per piacere. Premetto anche che ho un legame con la scrittrice, ma se il libro non mi fosse piaciuto l’avrei detto tranquillamente per una questione di onestà – e Marilù lo sa. Comunque che Mala Suerte non mi piacesse, era difficile. Lo aspettavo. Perché ho letto sia Fuego che Tu la pagaràs! e mi sono intrippata con La Guerrera. Questi sono libri che alla fine quando li chiudi ti dispiace da morire. Ti mancano i personaggi e ti sembra che il mondo senza di loro sia più noioso. Insomma, quando ho saputo che sarebbe uscito Mala Suerte l’ho davvero atteso. E adesso che l’ho finito mi ha lasciato il magone. Perché la protagonista è la persona che tutti vorremmo come amica, anche se è un’amica un po’ strana, non sa consolare, vuole l’esclusività, è una testa dura. Quando la sua amica del cuore Catalina smette di fumare, La Guerrera la deride. Però le si perdona tutto, il suo caratteraccio ha delle punte incredibili di generosità, è ombrosa ma ironica, beve come un cubano e fuma come un turco e la notte si porta a casa chi decide lei. La storia parte da un omicidio. Muore una vecchia, poi una giovane (non dico il nome per non rovinare l’effetto sorpresa), vengono uccise lontano dalle piste da ballo eppure l’ispettore Basilica scopre un legame col mondo latino e subito coinvolge La Guerrera.. Lei i numeri come consulente li ha, si sta laureando in criminologia, ha già aiutato a chiudere diversi casi, ha un intuito mica male. Poi ha conoscenze particolari, come il guapo che si porta a letto, che pare intrallazzato con un gruppetto sospetto. Ma i latini fanno muro tra di loro, nessuno scuce informazioni. Almeno così sembra, ma alla fine La Guerrera non demorde. Perché lei è testarda, s’impunta, ci riprova. In tutto questo continua la ricerca di un’occupazione, “a dimostrazione che il precariato è stigmate profonda del nostro tempo e non spiacevole moda passeggera”. Questa precarietà di vita avvicina La Guerrera a molti giovani e non più giovani che oggi devono fare i conti con un mondo del lavoro sovvertito, pieno di incertezze. Ecco perché poi ci si affeziona tanto: lei è una di noi, una che lotta, cade, si ammacca, si rialza, s’incazza, dice parolacce, fa a botte, si ferisce e poi guarisce. Un po’ ammaccata, delle volte, come tutti noi. Alcuni colloqui di lavoro sono spassosissimi, chi non ha incontrato potenziali datori di lavoro superconvinti del loro mandato? Poi c’è Catalina, c’è Dante, c’è l’ispettore Basilica (una rivelazione, quest’uomo), c’è la prozia rigida e ci sono tutti quei bei personaggi pazzeschi della tribe salsera: Princesa, stronza e bellissima, El Pony, il dj tarchiato, El Tigròn, Adoraciòn e tanti, tanti altri memorabili.
Io sono come La Guerrera, non ci credo alla sfortuna. Però qui ti vengono un po’ i brividi: «La sfortuna è uno dei temi conduttori del romanzo, la Mala Suerte personificata, la sua affermazione, il suo valore cartomantico, quello scaramantico. La sua potenza ma anche la sua negazione e chissà se alla fine l’ombra che aleggia cupa si dissolverà o inghiottirà qualcuno...».
Insomma, una lettura indimenticabile a ritmo di rumba.
E un’ultima cosa, che è più un appello a Marilù: rivoglio La Guerrera!
(Marcella Buldini)
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