Dopo un po’ Youssuf mi si presenta con una piastra coperta di grasso e una spatola; è diretto fuori a pulirla, ma le sue dita guantate che cercano di toccare appena il metallo e la sua faccia disgustata di vero credente costretto a quel contatto impuro mi fanno pena; a raschiare quel sudore di würstel ci andrò io. La lama della spatola è affilata, deve scalzare il grasso dalle canaline della piastra; è un lavoro noioso, ci vorranno una ventina di minuti per finirlo, accucciati nell’angolo dietro il locale, su quella sabbia ammalloppata dalla pulizia di decine di piastre. Esco dalla porta di servizio, quella che dà sulle ultime piazzole del parcheggio e mi arriva quasi subito una voce sorda, che ringhia frasi smozzicate e poi singhiozzi soffocati, trattenuti dalla paura. Alzo gli occhi, ci sono tre figure; una è accasciata, ha un cespuglietto di capelli biondi, la seconda è addossata ad un fuoristrada scuro, rattrappita in un atteggiamento impaurito, la terza è protesa verso il fuoristrada, ha il volto contratto in una smorfia aggressiva e la mano impugna un coltello. Il ragazzo ben vestito non ha più il sorriso accattivante di poco prima, le due russe hanno perso la loro aria di sfida. Rimango lì impalato, con la piastra e la spatola nelle mani, zitto zitto mentre lentamente mi chiedo cosa voglia da loro, se soldi o carne gratis. Il ragazzo si accorge di me e per un istante è stupito, poi la sua rabbia cresce, mescolata alla paura e lascia le ragazze, mi si avvicina. Il coltello punta verso di me, si ferma ad un passo; so che si sta chiedendo “e adesso che faccio ?” mentre la stessa domanda mi attraversa il cervello. Poi scatta in avanti, la lama mi cerca e io, senza pensarci, faccio un passo di lato, la piastra cade a terra con un rumore sordo, accompagnato da quello più sottile della spatola. Il ragazzo spazza l’aria con il braccio, sento improvviso il calore salirmi dal fianco; so che mi ha preso, mentre la mano mi corre a cercare il coltello. Mi sposto veloce, mando a vuoto il suo affondo e mi ritrovo addosso a lui, in un movimento improvviso. Il suo sangue cade in gocce larghe sulla sabbia e sul cemento che l’assorbono in tonde macchie scure. Il ragazzo porta le mani alla ferita, fa due passi all’indietro e cade pesantemente a terra; ci mette poco a morire, con pochi movimenti convulsi, sotto il mio sguardo stupito, davanti agli occhi sgranati della bruna.

La ragazza bionda si tiene il fianco, è ferita, sembra quasi non essersi accorta di ciò che è successo, poi chiama l’amica e quella corre a tirarla su. Ci guardiamo in un’atmosfera irreale, in uno spazio dilatato, mentre nella testa mi gira la domanda insistente “e adesso, cosa faccio?”. Ci sono almeno due o tre risposte sensate, due o tre cose logiche da fare, ma davanti a quegli occhi spauriti, ad una bellezza che sembra essersi volatilizzata, mi viene in mente solo un - Andate via…ci penso io -. Quegli occhi mi mandano un ringraziamento muto, o almeno sembra, poi le ragazze di Minsk scompaiono in un minuto, la loro auto se ne va dal parcheggio senza fracasso e io rimango lì con quel tizio sdraiato ai miei piedi. Lo guardo mentre lo trascino sulla spiaggia verso delle dune spelacchiate di erbacce; ha gli occhi spalancati e un’espressione stupita, forse la percezione dell’idiozia di quella morte. Lo copro con la sabbia che le mie mani riescono a rovesciargli addosso, poi mi allontano e intanto mi dico che anche il poliziotto più fesso arriverà a me dopo un giorno di indagini; mentre raccolgo la piastra e la spatola mi maledico per aver fatto andar via le russe che ora saranno già lontane su qualche statale, dirette chissà dove. Non sono agitato, neanche nervoso, sembra quasi che questa faccenda riguardi qualcun altro, che non dovrà toccare a me spiegare la morte di uno sconosciuto che ho incontrato per la prima volta e ucciso dopo un minuto. Sono davanti alla porta di servizio della birreria, con la piastra in una mano e la spatola nell’altra; la mia macchina è lì, poco distante, dal locale arriva attutita la musica che scende dalle casse appese in alto sui muri. Giro lo sguardo verso il mare; larghe onde gonfie si schiacciano lentamente sulla riva di sabbia scura.