Il gioco continuò le sere dopo, io a fissarle e loro a ridere della mia lontananza; mi piacevano veramente tutte e due, ma non era questione di carne, mi piaceva piuttosto che venissero da lontano, che avessero alle spalle chissà quale vita in una città sconosciuta, che ora fossero qui in questo posto di mare, spendendosi l’istante ma con in testa l’idea di un futuro, magari di ritorno in quella città lontana. Non potevo mica andarglielo a dire, non sapevo che parole usare e cosa sarebbe interessato a quelle due delle mie fantasie prive di un letto e di soldi ? Di loro poi mi dimenticavo durante il giorno; se ti devi stirare i panni o cucinare il pranzo rimane poco spazio per i sogni. Il resto della giornata rotolava lungo gesti consueti, esatti e ripetuti, come le parole sempre uguali che scambio con gli amici quelle volte che mi vien voglia di alzare il telefono.
Il tragitto fino alla birreria è fatto di case basse di villeggiatura, di palazzine con i muri e le ringhiere mangiati dalla salsedine, di bar con l’arredo anni sessanta che hanno vomitato tavolini di plastica bianca sui marciapiedi, di sabbia, che sembra essere fuggita dalla spiaggia per abbandonarsi in mucchi ai lati della strada. Ogni volta mi dico che dovrei andarmene e mi rispondo subito dopo dove ? A fare che ?
Sono di fronte alla solita scura. La serata è stata più tranquilla del solito, tanto che Bruno viene a sedersi accanto a me. - Anche per quest’anno siamo agli sgoccioli - - Già, anche stavolta è andata - - Uhm… e adesso con l’inverno, passeremo le serate a guardarci negli occhi. La volta scorsa siamo andati quasi in pareggio… - Cosa sta tentando di dirmi? L’ha presa larga, ma credo di sapere dove vuole arrivare. - Ce la dovresti fare a mandare avanti la cucina con uno solo dei ragazzi no?! - - Per fare si può fare tutto. Chi vorresti tenere? - - Hassan è quello che sta qui da più tempo… - non finisce la frase, la lascia lì sospesa in aria, mentre dà una sorsata alla birra e si accende una sigaretta col Ronson placcato. - Ti posso fare una domanda? - - Prova - - Che ci stai a fare tu qui? Nel senso che lavori bene, benissimo, ma non sei il tipo da stare nella cucina di una birreria - Tiro su una boccata anch’io, la domanda è troppo strana per essere sincera. - Qual è il problema Bruno? - I suoi occhi fissano la birra nel boccale, sembra voglia contare le bollicine che salgono dal fondo. - Ho venduto il locale… iniziavo a perderci. E’ gente di fuori, che vuole rinnovare quasi tutto - - E si porta il personale proprio… - - Non è sicuro, sto ancora trattando proprio per far rimanere te e le ragazze di sala. - Dovrei essere arrabbiato con Bruno, per le balle che mi sta raccontando, invece sono quasi impietosito, come se la fregatura la stesse prendendo lui e non io. “Non c’è problema Bruno, hai fatto il tuo interesse. Se quelli non ci vogliono avranno i loro buoni motivi. Chi ci versa la liquidazione? - - Loro, è gente precisa, una società del nord, fanno le cose in regola… mi dispiace. - Gli interrompo il pianto con un gesto, lui prende al volo l’occasione e si alza, una manata sulla spalla e se ne va, lasciandomi lì con la mia scura. M’è passata la sete, m’è passata la voglia di stare lì ad aspettare le due russe in minigonna, preferisco tornare all’abbraccio del piastrellato grigio cenere.
Oggi sono uscito prima, in casa non riuscivo a resistere, tutto quello che mi circonda mi dà una sensazione di precario, di fine incombente. Di solito mi rilassa girare senza meta, mi fa sentire libero, ma oggi non funziona neanche questo. Mi ritrovo al limitare di una spiaggia, scurita e gelata da pesanti nuvole colore del fumo. Ci sono pochi coraggiosi, oppure ostinati sulla spiaggia, stanno lì nell’ottusa speranza che spunti una bava di sole, un qualcosa che non li faccia sentire truffati da una stagione che ad altri ha regalato calore. Che farò ora? Cacciato fuori del mio guscio piastrellato, dalle mie certezze dalla mia comoda tregua? Come ha detto Bruno? Non sono tipo da stare in una cucina, ma qual è il mio posto? Per trovarmi il luogo dove stare non dovrei guardare così spesso al passato come ad un portafoglio di occasioni sprecate. Un luccichio infinitesimale, che si ripete centinaia di volte, nonostante l’assenza di luce; la sabbia è grossa, scura e ferrosa, non ha la leggerezza di quelle farine dorate esibite da cartoline tropicali. Là paradisi di leggerezza indifferente, qui una pesantezza, una concretezza che fa di ogni granello un macigno. Non dovrei star qui a filosofeggiare su un granello di sabbia, dovrei darmi da fare, ma è aldilà delle mie forze, così riprendo a camminare, mi aspetta un forno per le patate ventilate.
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