Un odore di menzogna.
La luce pura e forte della notte islandese disegnava figure geometriche sul pavimento della chiesa. Kveld sentì che doveva alzarsi. Non sapeva se seguire il consiglio di sua madre, ma continuava a tenere la moneta fra le dita, chiudendo l’altra mano sulle ossa spezzate. Il dolore adesso era tornato, pulsante, tormentoso.
Fu il dolore, forse, a spingerlo irragionevolmente verso la finestra della canonica.
Kveld si avvicinò alle imposte, e guardò all’interno della camera in cui suo padre e sua madre dormivano insieme. I due erano in camicia, ai lati del letto coniugale. Tremavano entrambi. Suo padre aveva lo sguardo acceso di foia animalesca che Kveld gli aveva visto spesso, dopo che aveva picchiato lui o Bera. Sua madre teneva gli occhi fissi nei suoi, la splendida bocca atteggiata a una smorfia di sfida, ma il corpo contratto in una strana eccitazione mescolata a disgusto. si stavano preparando a consumare l’unione carnale.
Kveld sapeva bene che i suoi genitori dovevano onorare il loro stato matrimoniale con una certa regolarità, ma non aveva mai avuto occasione di spiarli: Brian lo faceva dormire nel vano di ricovero degli attrezzi vicino alla stalla, lontano dalla canonica.
Non ignorava nulla del coito, grazie ai libri proibiti nella biblioteca del monastero, e aveva visto spesso animali accoppiarsi. Anche i ragazzi e le ragazze di Borg si accoppiavano, al riparo degli scogli o nella brughiera, senza che ne seguisse un matrimonio o uno scandalo. Lui non era mai stato attratto da un essere umano vivente; aveva sperimentato il piacere solo strofinandosi sulla serica pietra lavica in una incolpevole confusione con il Tutto, e non gli era mai sembrato, così, di cedere una parte della sua purezza. Si turbava contemplando certe illustrazioni erotiche, leggendo certe frasi, o immergendosi in certe fantasie incandescenti. Quando si turbava, quando la sua verginità immacolata veniva attraversata da brividi, provava un sentimento simile all’avvicinarsi della morte. Trovava il sesso una cosa piccola e sciocca, e nello stesso tempo misteriosa e terrificante. Non capiva come i ragazzi di Borg potessero praticarlo con tanta leggerezza, ma non capiva neppure come uomini e donne potessero smarrirvi le loro vite. Comprendeva perché i poeti ne facessero versi indemoniati, e nello stesso tempo gli pareva che non valesse la pena di parlarne.
Tuttavia non aveva mai visto i suoi genitori così, e non immaginava quegli occhi, quegli atteggiamenti del corpo, quei gesti. Tutto, in loro, grondava la sozzura di tutti i peccati pronunciati in confessionale, che sembrava scorrere nelle loro carni facendoli bruciare di passione.
Con un gesto imperioso Brian ordinò a Bera di abbassare la camicia. Lei obbedì, scoprendo il seno tondo e sodo, squisitamente modellato, con i capezzoli rivolti verso l’alto. All’altezza del suo ombelico, appeso per mezzo di una cordicella di pelle annodata, penzolava uno strano oggetto. Kveld si era sempre chiesto che cosa ci fosse all’estremità del collare portato da sua madre: ora lo vedeva. Era una specie di straccio, o di matassa di lana, scuro e compatto, irrigidito da un frequente uso, unto e scivoloso. Spesso Kveld aveva notato una macchia di grasso maleodorante sotto la gonna di Bera: il punto in cui la stoffa era in contatto con quello strumento.
Bera prese un’ampolla e ne versò il contenuto sull’oggetto, ungendolo ancora. Il vaso conteneva, Kveld lo sapeva, una sostanza che aveva sempre sentito nominare in un sussurro, in una lingua straniera e come se non si volesse pronunciarne esattamente il nome: ergot du seigle. Quando aveva domandato quale ne fosse l’impiego o l’utilità, non avevano voluto rispondere.
«Spalmalo bene» disse Brian, togliendosi la camicia e le brache. Kveld non aveva mai visto suo padre nudo: non era prestante come appariva quando era vestito, aveva le spalle strette e le anche larghe. Strisce di sudiciume gli percorrevano la pelle incolore e smorta. Aveva peli foltissimi sulle natiche, e un membro rosso-violaceo, già in erezione.
In confronto a lui Bera, lavata e pulita, appariva liscia come una pietra marina, risplendente come una gemma preziosa. La veste scoprì un ventre e cosce degni di essere scolpiti, e gambe snelle e diritte. Il suo corpo era flessuoso, adorabile, come quello di una donna con metà dei suoi anni. Brian non le permetteva di lavorare, e lei non aveva avuto nuove gravidanze dopo la nascita di Kveld. Solo la fatica della menzogna, e non quella del duro lavoro, appannava la sua anima, ma non le sue sembianze.
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