Venti corpi nella neve
Venti corpi nella neve di Giuliano Pasini, time Crime 2012.
Appena ho letto sulla fascetta rossa che era nata una stella mi sono gettato a corpo morto sul libro. Non potevo lasciarmela scappare. La nuova stella, voglio dire. Anche perché il prezzo, con questi chiari di luna, è assai attraente. Niente vero, solo un po’ di ironia sulle fascette per lo più iperbolichette. L’ho sfogliato, l’ho letto in qua e là e l’ho preso.
Il commissario Roberto Serra a Case Rosse speditoci dal superiore Bernini, viso tondo e baffi gialli di nicotina, per farlo riprendere da una situazione difficile. Dopo la morte violenta dei genitori, avvenuta quando aveva sedici anni, è colpito da un “dono”, ovvero la capacità di “sentire” ciò che provano le vittime e i loro carnefici attraverso una “danza” particolare. Sintomo e preavviso l’odore di fiori marci. Aveva poi fatto parte di un nucleo speciale comandato dallo stesso Bernini che si è sciolto. Qui, nel più piccolo commissariato d’Italia, Serra è visto come uno di fuori ed è aiutato dall’agente Valerio Manzini. Ufficio essenziale dove domina il colore grigio, corse per chilometri e preparazioni culinarie per ritrovare calma e lucidità. Gli ci vorranno perché nella notte di Capodanno del 1995 tre cadaveri al Prà grand: un uomo, una donna e una bambina barbaramente uccisi con un colpo di fucile a distanza ravvicinata. Per terra un bastoncino a forma di ipsilon. La tragedia ritorna. E ritorna pure una ex fidanzata, Alice, pelle chiara, efelidi, capelli rossi crespi, naso storto per un incidente stradale, anch’essa con una vita tribolata ed un terribile avvenimento alle spalle. La storia sembra conclusa con la scoperta dell’assassino ma per Serra tutto troppo facile e…
Alla vicenda attuale si ricollega, poi, una storia passata di lotta partigiana, di massacri e rappresaglie, di dolore, di eroismo, di barbarie. Lotta, coraggio, sofferenza. Vendetta. Qualcuno che non ha voluto dimenticare (mi ricorda l’ultimo libro di Pandiani).
Spunti nuovi insieme a qualche inevitabile e tipica ripetizione di quasi tutti i romanzi polizieschi: il superiore che esprime coraggio e fiducia, quello che cerca la gloria solo per sé, il giornalista ficcanaso che non vede l’ora di sfornare il pezzo del secolo, il caso da chiudere alla svelta che viene dall’alto, il tentativo di far fuori lo stesso Serra. Insomma il solito tributo da pagare ad un genere ipertrofico e sovraffollato.
Capitoletti brevi, scrittura agile che si fa leggere volentieri, il “sentire” gli altri che non è proprio una novità e mi richiama alla mente anche un certo Ricciardi di Degiovannesca memoria, una sovrabbondanza di lacrime e dolore che attenua in parte il pathos del racconto che pure c’è, esiste e ti prende talvolta alla gola (tanto per essere chiari). Lo stesso dicasi rispetto alla “Danza” sciorinata dappertutto con enfasi martellante e perfino grottesca. Un po’ quello che io definisco il “troppo”, di cui spesso non c’è bisogno, per entrare compiutamente nell’animo di chi legge.
E’ nato uno scrittore. Per la stella si vedrà.
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