Nella città norvegese di Trondheim un bel giorno di metà Ottocento un misterioso collezionista di libri bussa alla porta di un contadino. Quest’ultimo, stupito, si vede affidare un libro misterioso: è un testo maledetto scritto da un assassino, racconta il generoso viandante, e solo se verrà conservato in quel posto perderà il suo potere malefico che già tanti lutti ha mietuto. Invece di prendere a badilate l’importuno sconosciuto, il contadino accetta di buon grado il compito e conserva il libro nella propria casa.
Negli anni Sessanta del Novecento, però, l’aneddoto viene raccontato ad alcuni archeologi intenti a scavi nella zona in questione. Identificato il discendente dell’impavido contadino, nonché ligio conservatore del libro maledetto - scomoda eredità del contadino di cui sopra - lo incitano a consegnare il testo alla locale biblioteca. Invece di prendere a badilate gli archeologi impiccioni, che stanno devastando il terreno vicino casa sua, il contadino moderno accetta di buon grado la proposta (che evidentemente non gli era mai venuta in mente prima) e va a consegnare il libro maledetto alla biblioteca Gunnerus.
Non accade tutti i giorni che un bibliotecario si veda arrivare un contadino con in mano un antico libro maledetto: invece di prendere a badilate il generoso sconosciuto, la biblioteca accetta di buon grado il testo e ne fa anzi una piuma all’occhiello.
Ma lo sconosciuto viandante dell’Ottocento era stato chiaro: se spostato dalla fattoria dove l’ha lasciato, il libro riotterrà il suo potere maledetto. E infatti la bibliotecaria di Gunnerus fa subito una brutta fine...
Quella fin qui raccontata è una storia di finzione che sta alla base del romanzo La biblioteca dell’anatomista (Nådetis omkrets, 2011), opera d’esordio del norvegese Jørgen Brekke. Questi nel suo romanzo ama fondere realtà e finzione in modo molto borgesiano - e non nasconde di certo il suo amore per il Maestro argentino.
Il viandante misterioso affida al contadino succube un libro maledetto dal titolo semplice: il Libro di Johannes, «una bizzarra raccolta di testi risalente al XVI secolo, scritta su pergamena da un frate francescano del Fosen». Questo pseudobiblion «costituiva una delle fonti storiche più importanti per l’epoca immediatamente successiva alla Riforma in Norvegia. Ed era ancora più strano ed enigmatico: se il diario di Beyer era un testo sistematico e colto, ma diretto a un pubblico più vasto, il Libro di Johannes era oscuro e criptico, pieno di allusioni incomprensibili, palesemente scritto per gli occhi dell’autore stesso, e di nessun altro, e svariati passi suggerivano che il proprietario di quegli occhi non avesse proprio tutte le rotelle a posto.»
Anche la Norvegia, ora, entra di diritto nel grande gioco degli pseudobiblia!
Ma ecco altre informazioni sul Libro di Johannes. «In più punti, venivano descritte persone che soffrivano di diversi tipi di malattie e, per quanto riguardava le conoscenze anatomiche, infermieristiche e chirurgiche, superava qualunque altro testo contemporaneo. Per un Paese come la Norvegia, isolato ai margini dell’Europa, era un documento unico nel suo genere. I più erano del parere che Johannes, a un certo punto della sua vita, avesse studiato presso un’università del Meridione europeo.»
Nel romanzo viene citato un solo estratto da questo portentoso testo del 1550, ma basta e avanza: «Il centro dell’universo è ovunque e il suo contorno in nessun luogo.»
Chi conosca anche solo sommariamente Jorge Luis Borges avrà subito riconosciuto una delle frase più studiate (e citate) dal poeta di Buenos Aires. Nel saggio del 1951 “La sfera di Pascal” (raccolto in Altre inquisizioni, 1952) il Maestro argentino ricostruisce la genealogia di una frase dal 600 a.C. fino al 1600 d.C., e alcune di queste citazioni sono riportate diligentemente da Brekke. Nel Corpus Hermeticum si trova «Dio è una sfera intelligibile, il cui centro è ovunque e il cui contorno non si trova in nessun luogo»; Alano di Lilla nel XII secolo usa la stessa frase, mentre nel 1584 Giordano Bruno scrive «Il centro dell’universo sta dappertutto e la sua circonferenza in nessun luogo»; duecento anni dopo Blaise Pascal se ne esce con «La natura è una sfera infinita, il cui centro sta dappertutto e la cui circonferenza in nessun luogo». (Il titolo originale del romanzo norvegese, Nådetis omkrets, vuol dire “La circonferenza della grazia”, forse in contrapposizione a Pascal che, ricorda il citato saggio del ’51, nella prima stesura definì la natura “sfera spaventosa”.)
Gli esempi di Borges sono molti di più, ma Brekke addirittura ha l’ardore di superare il poeta argentino... inserendolo nella finzione. «Lo scritto di Borges risale a prima del ritrovamento del Libro di Johannes, quindi ovviamente non trae la citazione da lì». D’altronde doveva giustificare come mai a Borges, grande studioso di letterature scandinave, fosse sfuggito un testo incredibile come il Johannes.
«Gli aforismi presenti nel Libro di Johannes pongono questioni interessanti per i ricercatori - continuiamo a scoprire. - Per dirne una, perché Johannes parla dell’universo e non di Dio? Ha perso la fede? È un esponente scandinavo dell’emergente corrente scientifica rinascimentale? Da dove proveniva questo Johannes? Aveva studiato presso un’università?»
Tante domande ma nessuna risposta...
Jørge Brekke, lo si accennava all’inizio, è un esordiente e quindi si permette ciò che un autore navigato non farebbe mai: inserire passione letteraria nel suo romanzo. Però in fondo il libro va venduto, quindi al di là di deliziosi sipari borgesiani e aneddoti sulla vita e l’opera di Edgar Allan Poe, La biblioteca dell’anatomista è incentrato su indagini e serial killer. Ci sentiamo di prevedere che già alla seconda opera il Brekke farà sparire le sue finzioni letterarie per dedicarsi principalmente alle sole indagini...
Non resta che gustarci l’ebbrezza di un romanzo norvegese intriso di Borges - autore che per tutta la vita amò profondamente le terre e le lingue scandinave - e chiudere con una citazione inserita nel romanzo: «“Tutti noi siamo libri fatti di sangue. Indipendentemente dal punto in cui veniamo aperti, siamo sempre rossi”, disse Vatten, rassegnato, senza sapere da dove gli venissero quelle parole». Difficile credere che Brekke ignorasse che la frase è l’epigrafe con cui Clive Barker apre il suo Il libro di sangue: facile sia stata una strizzata d’occhio al poeta argentino, che amava citare cambiando le carte in tavola e giocando con il lettore.
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