Due maestri all’opera, Paolo e Vittorio Taviani, e un film, Cesare deve morire, che nonostante i minimi mezzi a disposizione vola alto forte di un’idea.
Un luogo spoglio come può essere spoglio un carcere (Rebibbia), una sezione particolare (quella di massima sicurezza), un gruppo di attori presi non dalla strada ma direttamente dalle celle (detenuti per spaccio e mafia), una sfida (la messa in scena di Giulio Cesare di Shakespeare), una messa in scena ai limiti della “sparizione” (lame finte, lenzuola a mo’ di tuniche…) ma è ovviamente la sostanza che conta (eccome se conta…).
Le barriere vengono meno e le vite dei protagonisti trovano riflessi inaspettati in quelle dei personaggi (Cesare, Bruto, Cassio, Antonio, Ottavio…) mentre la pesantezza della vita carceraria si eclissa, seppur brevemente, sotto l’azione catartica dell’arte.
Cos’altro se non applausi?
Orso d'Oro (a 21 anni dall’Orso a Marco Ferreri con La casa del sorriso) e Premio della Giuria Ecumenica al 62mo Festival di Berlino.
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