Quando le parole prendono corpo, atmosfere e situazioni si fanno portatrici di storia. La realtà, i fatti fanno il resto. Tutto coincide e potrebbe bastare. Ma c’è un flusso irreversibile, misterioso, che porta a sovvertire la tendenza, viene da un luogo intricato e contorto dell’anima dove è difficile attingere, che ti getta in faccia la violenza e la paura da sentirle quasi come compagne inseparabili.
È una sensazione strana e straordinaria che mi ha colto leggendo d’un fiato questo incredibile romanzo di Gellert Tamas, L’uomo laser, dove l’autore narra attraverso la passionalità della sua scrittura l’episodio che più ha sconvolto la vita della Svezia, ridimensionando il mito di uno dei paesi più avanzati del mondo.
Partendo da interviste esclusive il libro evidenzia il caso emblematico di un serial killer, mettendolo in relazione con il contesto storico e sociale e ai movimenti xenofobi dell’estrema destra scandinava.
Può un singolo individuo essere influenzato dalla società e dalla cultura che ne deriva e cercare di trasformarla con ogni mezzo? È quello che traspare in questo thriller d’inchiesta che l’autore ha dedicato al personaggio protagonista, un uomo che ha fatto a lungo parlare di sé, John Ausonius, conosciuto come l’uomo laser. Nel periodo tra l’inverno del 91 e la primavera del 92 sparò a undici persone, immigrati e figli di immigrati, agendo sempre nel centro della capitale svedese.
Figlio di una tedesca nata in Germania durante il nazismo, crebbe a Vallingby, quartiere manifesto della socialdemocrazia costruito negli anni cinquanta. Molti intellettuali venivano da qui. Uno su tutti Olaf Palme, che fu un suo vicino di casa.
Durante il boom economico divenne uno yuppie, giocò in borsa facendo un sacco di soldi. Successivamente, con la crisi degli anni novanta, finì in rovina e perse tutto. Da quel momento cominciò a rapinare banche in bicicletta, partecipando contemporaneamente a riunioni di gruppi di estrema destra. Fu l’inizio del suo cammino omicida: iniziò a sparare ai migranti perché si sentiva in dovere di fare qualcosa e di dare corpo alle parole che pronunciavano i politici populisti. Di lui si raccontò anche che fu l’assassino di Olaf Palme, ma a quel tempo era già dietro le sbarre. Nonostante ciò molti poliziotti restarono convinti che fu lui a premere il grilletto, che fosse riuscito a uscire di prigione per farlo. Controllarono centinaia di volte perché corrispondeva al miglior sospetto che potessero avere e alla migliore immagine di killer che si erano costruiti. Una persona che odiava la socialdemocrazia e Palme in primis.
Straordinarie queste pagine che ci danno uno spaccato del paese attraversato dal dramma del razzismo e che vede cancellare lo spirito che ne ha generato la solidarietà e il grande principio di uguaglianza alla base della grande democrazia di un paese avanzato.
Un’inchiesta che lascia con il fiato sospeso dentro una forma narrativa e una scrittura che vanno dritte nel segno. Avrei voluto scriverlo io disse Stig Larsson quando vide il contenuto di questo libro in cui si sente tutta l’eco della frattura sprofondata nel cuore dell’Europa. Quale messaggio vuole trasmetterci questo libro oltre al piacere di una straordinaria lettura? Sta al lettore scoprirlo pagina dopo pagina in una narrazione che lo terrà sospeso fino all’ultima riga.
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