Può uno scrittore per l’infanzia raccontarci l’abisso di paura e repressione in cui è caduta la Gran Bretagna di oggi? Forse solo lui può farlo, adottando un delizioso gioco letterario.

Parlando di Stato di emergenza non si può non citare il fato che il suo autore, Douglas Lindsay, è stato per quasi dieci anni apprezzato autore di un ciclo di otto romanzi giallo-comici con protagonista unico ed ora, a sorpresa, se ne esce con un romanzo “serio” (anzi, terribilmente serio) con protagonista uno scrittore reso celebre da otto romanzi per l’infanzia con protagonista unico che decide di scrivere un romanzo “serio”.

Lindsay adotta questo stratagemma per parlarci di un problema che diventa sempre più di attualità: la paura del terrorismo fa sì che chi ci dovrebbe proteggere da questo ci reca ancora più danno.

 

La situazione della Londra in cui si muove Lake Weston - romanziere per l’infanzia alter ego (mutatis mutandis) di Lindsay - è tesissima. «Solo limitando la libertà personale [i governanti] avrebbero potuto stroncare chi tentava di distruggere quella stessa libertà, ecco il paradosso».

Una volta che l’umanità – con qualche decennio di ritardo – si è resa conto che il Grande Fratello di Orwell ci stava guardando sul serio, lo si è fatto diventare un programma televisivo: invece di capire lo sporco trucco, tutti si sono assoggettati. Ma ora il livello di pericolo è cresciuto.

Che i Governi abbiano la possibilità di spiare in ogni modo i propri cittadini è ormai tristemente noto, ma ora la Gran Bretagna – sicuramente non solo lei, ma è di questo Paese che tratta il romanzo – sta anche prendendo drastici e spaventosi provvedimenti in base a ciò che scopre spiando. Lake Weston se ne rende conto e visto che è stufo di scrivere per mocciosi che detesta coglie la palla al balzo per affrancarsi dalla narrativa per l’infanzia ed entrare nel mondo della denuncia sociale. Scoprirà di aver preso al balzo una palla avvelenata...

«Sei un ingenuo, Lake. Oppure un liberale, e non so cosa sia peggio. Quello là fuori è un mondo di merda»: così lo apostrofa un personaggio. «Gli scrittori non piacciono ai governi. Gli scrittori promuovono le idee, cercano di fomentare, di guidare le masse. Anche adesso, nell’era digitale, con i blog, con Facebook o MySpace, il mezzo è diverso ma esiste ancora gente che scrive, che mette nero su bianco i propri pensieri. Si inizia con l’eliminazione degli scrittori e la società viene rimessa in riga».

In una città dall’atmosfera apocalittica – sicuramente esagerata ma forse non così tanto – Weston inizia la sua personale (ma universale) discesa all’inferno. Il suo pamphlet di denuncia, L’asse del male, ha parecchio successo e quindi attira l’attenzione delle sue “vittime”: il Primo Ministro e il Governo tutto si attivano per distruggere lo scrittore.

 

Come si distrugge una persona nell’Europa del XXI secolo? La si uccide? No, roba vecchia. La si tortura? No, quello è firma d’altri Paesi. Il sistema è incredibilmente più semplice e più efficace: la si infanga sulla stampa.

Da accusatore, Weston si trasforma in accusato: lui accusava pochi politici, ma i politici – accusandolo di spregevoli crimini sulla stampa – fanno sì che tutto il popolo britannico diventi nemico dello scrittore.

Stato di emergenza è un romanzo durissimo, spietato, che forse (lo si spera) esagera nel ritrarre il clima di terrore londinese ma che di sicuro non rende implausibile quanto scrive. La narrazione fluida – aiutata dalla traduzione italiana di Marco Piani – guida il lettore sempre più all’interno di un inferno che non ha nulla di dantesco o di religioso: è l’inferno dei diritti umani e dei princìpi civili che noi (l’Occidente che è in noi) si fa vanto di possedere, per poi ignorarli non appena il suolo trema...