Martin Mystère viene chiamato al cospetto di un personaggio inquietante, il Colonnello Bozzo, leader di una confraternita segreta dagli scopi non proprio cristallini, il quale chiede il suo aiuto. Con riluttanza, il Detective dell’Impossibile ascolta una complessa storia di intrighi, oggetti misteriosi e antichi segreti di cui ignorava del tutto l’esistenza; e si trova suo malgrado coinvolto in una vera e propria guerra occulta, combattuta di nascosto dagli occhi del mondo. Una guerra che ha come scopo il caos fine a se stesso, e il cui soldato più importante porta un nome antico e temuto…
A completare l'Almanacco del Mistero 2012 attualmente in edicola e fumetteria, i servizi tutti a colori dedicati a Fantômàs, Torquemada e gli orrori dell’Inquisizione e ai mostri dietro l’angolo “visti” da Dino Buzzati, oltre alla consueta panoramica su libri, film, telefilm, videogiochi e fumetti dell'Annata Mysteriosa.
Almanacco del Mistero 2012, annuale contiene:
L'ombra di Fantômàs
Soggetto e sceneggiatura: Alfredo Castelli (con la collaborazione di Jean-Marc Lofficier)
Disegni: Dante Spada
Copertina: Giancarlo Alessandrini
Il terrore mascherato, di Alfredo Castelli e Gianmaria Contro
Nel racconto a fumetti che inizia a pagina 35, il Buon Vecchio Zio Marty illustra rapidamente le malefatte di Fantômas, il Genio del Crimine ideato da Pierre Souvestre e Marcel Allain; l’Almanacco del Mistero se ne era occupato anche l’anno scorso, raccontando la poco edificante carriera militare del sadico Gurn, che di Fantômas è (forse) il vero nome. Quest’ondata di interesse per uno spietato criminale è dovuta al fatto che, nel 2011, si è celebrato il centenario della sua nascita letteraria, avvenuta a Parigi nel 1911; per quanto mi riguarda, ne approfitto per festeggiare con un paio d’anni di anticipo il cinquantesimo anniversario del nostro personale incontro. Prima del 1963, conoscevo Fantômas soltanto di nome, in quanto costituiva il prototipo del criminale inafferrabile a cui nulla era impossibile, così come Mandrake, pronunciato rigorosamente come si scrive, era il mago per antonomasia e Nembo Kid – ovvero Superman, come era stato ribattezzato in Italia – era il prototipo perfetto del super-eroe.
Nel 1963, per l’appunto, uscì l’ormai leggendaria collana Fantômas della Mondadori, che riproponeva i trentadue romanzi di Souvestre e Allain in un’edizione curata da Fruttero & Lucentini, arricchita dalle inquietanti copertine di Karel Thole. Acquistai immediatamente il primo volume e, dopo poche pagine, si verificò un curioso fenomeno: ero sicuro di non aver mai letto quella vicenda, eppure la conoscevo benissimo, e, in certi momenti, ero in grado addirittura di anticiparne lo svolgimento.
Il Braccio violento della Legge divina di Maurizio Colombo
“Ero affranto, stremato di angoscia mortale per quella lunga agonia; e quando finalmente mi sciolsero e potei sedermi, sentii che perdevo i sensi. La Sentenza – la terribile sentenza di morte – fu l’ultimo degli accenti distinti che mi giunse alle orecchie. Dopo, il suono delle voci degli Inquisitori parve perdersi in un ronzio indefinito di sogno…”. Con queste parole, l’anonimo eretico, protagonista del racconto Il pozzo e il pendolo, di Edgar Allan Poe, inizia la sua discesa negli inferi creati dalla temibile Inquisizione spagnola. E probabilmente le labbra, “serrate e pallide”, che pronunciano l’implacabile condanna appartengono al priore domenicano Tomás de Torquemada, il Grande Inquisitore per eccellenza. Nato a Valladolid nel 1420 e morto ad Avila nel 1498, il suo nome è ancor oggi capace di far gelare il sangue nelle vene come sinonimo di tremende torture eseguite in umidi sotterranei e di barbare esecuzioni che comprendevano sia la garrota (un sistema di strangolamento lentissimo) sia il rogo. Anzi, a volte venivano inflitti entrambi: così, il presunto colpevole, dopo essere stato strozzato a morte, veniva ridotto in cenere davanti a un vasto pubblico che mostrava di gradire assai lo spettacolo, urlando e applaudendo nei momenti più “caldi”. A chi aveva l’audacia di mettere in dubbio l’utilità dell’uso della tortura per ottenere delle confessioni (ciascuno di noi, sottoposto a trattamenti del genere, ammetterebbe sicuramente qualsiasi colpa, pur non avendo commesso alcunché) veniva data questa risposta: se l’imputato fosse davvero innocente, spetterebbe allo stesso Dio dargli la capacità di resistere al dolore; quindi, chi confessa è per forza colpevole. Insomma, nessuna scappatoia era consentita.
Mostri dietro l’angolo, di Giuseppe Lippi
La storia delle storie di Dino Buzzati – terrificanti, fiabesche oppure erotiche – comincia in un periodo non sospetto della letteratura italiana, quando streghe e incantatori metropolitani non occhieggiano da tutti i banchi dei librai e il feuilleton è ormai moribondo. Il “pulp”, nato da poco, frigna nella sua culla d’Oltreoceano; qui da noi, se qualcuno ha gli incubi pensa ancora di aver mangiato troppo o di aver letto Edgar Allan Poe e Robert Louis Stevenson in eccesso. Il visionario bravo a dipingere vede con gli occhi di Giorgio De Chirico, di Giacomo Balla e dei film espressionisti… Buzzati cresce e si forma in questo clima, nei primi anni del Ventesimo secolo (è nato a San Pellegrino, provincia di Belluno, il 16 ottobre 1906, ed è morto a Milano, il 28 gennaio 1972), e diventerà un autore originale senza mai essere snob. Non è uno che nasca con la penna in mano o con i libri sotto braccio: anzi, se c’è una cosa che terrà sempre a sottolineare, è che lui è un pittore dilettante prestato alla narrativa. Le sue vicende nascono dalla visione, come sprazzi di storie a fumetti (un genere che amerà moltissimo, fino a firmarne lui stesso un capolavoro).
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