Nei cinema italiani oggi arriva il film Anonymous di Roland Emmerich, in cui viene – per la prima volta su schermo – raccontata una storia che si riallaccia ad una tesi realmente esistente sull’ingarbugliata vicenda Shakespeare: lo sceneggiatore John Orloff ricostruisce i fasti dell’epoca vittoriana per raccontarci che l’uomo che si firmava William Shakespeare era in realtà... Be’, lo saprete dal film!
Oggi inoltre esce nelle librerie un romanzo rifiutato da ogni editore di lingua inglese: possibile le tesi in esso presentate mettano così “paura” ai lettori anglofoni? Stiamo parlando de Il libro segreto di Shakespeare, che la coraggiosa Newton Compton – fra le rarissime case editrici al mondo – porta sui nostri scaffali. Il romanzo è firmato da John Underwood, pseudonimo che Gene Ayres utilizza anche per sottolineare il suo rapporto di discendenza con il “vero” John Underwood, attore della compagnia shakespeariana.
ThrillerMagazine non voleva mancare all’appuntamento, così ha deciso di pubblicare un approfondimento molto particolare: una conversazione “a puntate” con Chiara Prezzavento. Curatrice di un blog di libri, anglomane, appassionata di storia e di tutto quel che è elisabettiano - compreso il Mistero Shakespeare – in questo primo appuntamento Chiara ci parla di quei romanzi (molti di più di quanto un lettore italiano possa immaginare) che hanno “giocato” ad ipotizzare chi possa essere stato l’uomo che si firmava Shakespeare. Il risultato è un excursus sorprendente e mirabolante di un vero e proprio genere letterario sconosciuto in Italia.
Non resta che lasciare la parola a Chiara.
Nel mondo anglosassone si ricama parecchio, non solo sull’identità del Vero Autore, ma su ogni possibile aspetto di vita, morte e miracoli di Shakespeare, il che è abbastanza naturale, considerando che del Bardo si sa pochino. Non pochissimo – e non irragionevolmente poco, ma nella biografia di Shakespeare (come in quella di molti elisabettiani che non occupassero posizioni preminenti e non si mettessero nei guai con la giustizia) ci sono lacune abbastanza grandi da poter accogliere ogni genere di ipotesi romanzesca.
La mia lettura più recente in proposito è The School of Night, di Alan Wall, una cupa vicenda in cui uno storico fallito con grigia carriera alla BBC dedica la sua vita a sciogliere il mistero della Scuola Della Notte, il misterioso gruppo di liberi pensatori elisabettiani raccolto intorno a Sir Walter Rale(i)gh. A mano a mano che procede, Sean si convince che a scrivere Shakespeare debba essere stato qualcun altro – forse Marlowe? Forse l’intera Scuola? Ma i misteriosi diari di Thomas Har(r)iot, il Galileo inglese, finiranno col rivelare proprio la sorpresa cui Sean non è preparato: che Shakespeare... era proprio Shakespeare.
Ma Wall è quasi una mosca bianca, e di norma i romanzi sono logicamente anti-stratfordiani: perché disturbarsi a scrivere un romanzo su un argomento controverso, se non per coglierne gli aspetti controversi?
Per esempio Chasing Shakespeares, di Sarah Smith, parte da una premessa simile a quella di Wall – accademico in difficoltà inciampa in esplosivo documento elisabettiano, e le sue difficoltà diventano all’improvviso molto più grosse di prima – per poi raggiungere conclusioni del tutto diverse. Joe è un borsista che arrotonda installando finestre, grandi speranze per una carriera accademica, una ragazza ricca e ambiziosa da conquistare e un mentore la cui reputazione è tutta shakespeariana. Quando scopre le prove che Shakespeare era un prestanome di Edward de Vere, Joe si ritrova a esitare tra amore, carriera e lealtà – senza contare che in queste situazioni c’è sempre qualcuno dotato di più fiuto per gli affari che scrupoli.
Anche James Webster Sherwood è un oxfordiano: il suo giallo storico Shakespeare’s Ghost, ha per protagonista de Vere – un de Vere che intercede presso la Grande Bess per salvare Maria di Scozia e, quando non ottiene nulla, ricicla il suo inefficace ma decorativo discorso nel celebre Mercy Speech di Porzia, quando scrive Il mercante di Venezia. Oh, e questo de Vere è anche il figlio illegittimo (nonché l’amante) della regina... suona familiare?
Edward de Vere, XVII conte di Oxford, è il possibile Vero Autore più gettonato dai romanzieri, con Christopher Marlowe. Forse perché entrambi ne avevano il mezzo (con la piccola differenza che Marlowe era uno straordinario poeta e un audace innovatore, mentre de Vere era un dilettante abbastanza mediocre) e un motivo più stringente e romanzesco di molti altri: il conte di Oxford non poteva firmare pubblicamente opere teatrali e Marlowe doveva... well, doveva nascondere di essere ancora vivo dopo il 1593. Certo, occorre inclinare ogni logica a quarantacinque gradi, tingerla di violetto e guardarla da sopra la spalla, ma questa è la materia di cui son fatti i romanzi.
E infatti a riprova di questo e del fatto che le speculazioni sulla cosiddetta authorship question attraversano tutti i generi, c’è Sarah Hoyt, che nel suo fantasy Any Man So Daring ritrae un perplesso Shakespeare intento a scrivere sotto il tormento - e la dettatura - del defunto Marlowe, con l’attiva partecipazione degli esseri fatati del Sogno di una notte di mezza estate e della Tempesta. Un’interpretazione fantasiosa su uno dei nodi che più sembrano intrigare i curiosi shakespeariani da un paio di secoli: possibile che Marlowe e Shakespeare non si conoscessero? Due autori nello stesso genere, coetanei, in un mondo notoriamente molto piccolo, in cui tutti conoscevano tutti... Eppure non c’è un singolo documento a provare che questi due uomini si conoscessero.
Per forza! rispondono i romanzieri: i due uomini erano in realtà uno solo! O meglio: Shakespeare emerse solo dopo il 1593, prestanome del non-proprio-defunto Marlowe – il genere di segreto che nessuno vuol documentare.
Il mio romanzo preferito in proposito è History Play, di Rodney Bolt – che all’inizio fa di tutto per non sembrare un romanzo affatto. Per i primi capitoli il lettore crede di avere a che fare con una biografia di Shakespeare singolarmente anti-stratfordiana – e più convincente del consueto nel dimostrare che l’uomo di Stratford e l’autore Shakespeare non possono essere la stessa persona. Poi, procedendo, ci si accorge che il tono vira prima sulla parodia accademica e poi sul romanzo, che metà delle fonti citate sono fittizie, che le avventure continentali del fuggitivo Marlowe (che visita tutte le ambientazioni shakespeariane giusto in tempo per scriverne) diventano viepiù improbabili…
History Play è un incantevole gioco letterario, ma ci sono autori che usano il tema in tutta serietà, come M.G. Scarsbrook, che in The Marlowe Conspiracy mostra Lady Audrey Walsingham e Shakespeare impegnati a salvare e contrabbandare all’estero un Marlowe in versione action-man.
«E se scrivi qualcosa, mandacelo!» raccomanda il buon Will a titolo di commiato.
Ma non tutti i Will fittizi sono così benevoli, come prova il protagonista di Murdering Marlowe. In questo bizzarro dramma, Charles Marowitz porta in scena uno Shakespeare così roso dall’invidia da organizzare l’omicidio del suo brillante e spregiudicato rivale. Non che questo costituisca una teoria alternativa sulla authorship, ma di sicuro presenta uno Shakespeare inedito.
Nemmeno Michael Gruber, in The Book of Air and Shadows, propone una teoria alternativa sul Vero Autore. Invece immagina che un eterogeneo gruppo di avvocati, avventuriere, studenti di cinematografia e (you guessed it!) accademici in difficoltà scopra e si contenda il consueto esplosivo documento elisabettiano. Solo che stavolta si tratta di una cospirazione politico-letteraria in cui Will Shakespeare di Stratford si sarebbe trovato implicato per un misto di candore e avidità, situazione non del tutto dissimile da quella dell’ucronico Ruled Britannia di Harry Turtledove, il cui protagonista scopre solo per gradi che la sua ultima commissione è parte di un piano per liberare l’Inghilterra dagli occupanti spagnoli post-Armada.
Si potrebbe continuare a lungo, ma la morale è che William Shakespeare affascina gli scrittori d’Oltremanica e Oltreoceano e, con la sua combinazione di straordinarie opere e scarna biografia, stimola ogni genere di fantasiose speculazioni. In un certo numero di casi, forse, il romanzo diventa un mezzo più tranquillo per presentare un’ipotesi accademicamente zoppicante – come illustra bene uno dei rarissimi casi di narrativa italiana in proposito: Il manoscritto di Shakespeare, di Domenico Seminerio, in cui uno scrittore trae dalle decennali ossessioni di un insegnante in pensione il romanzo di uno Shakespeare di origini siciliane.
Sono certa che il gioco non è finito: il filone è stato esplorato solo in parte, e molti altri candidati, dalla Grande Bess in persona a Francis Bacon, da Lady Mary Sydney a Fulke Greville, aspettano i rispettivi romanzi. Intanto il 2014 sarà il 450esimo anniversario della nascita di Will Shakespeare di Stratford (nonché di Christopher Marlowe): non è difficile prevedere un nuovo fiorire di speculazioni, romanzi e teatro. E, come dice Hoyt Hilsman, se mistero deve essere, che sia pieno di intrighi, di pericoli, di cospirazioni e false identità, per favore – quello che si scosta dalla storia per amore del dramma. Quello che Shakespeare in persona avrebbe potuto scrivere.
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