C’è in noi europei (e italiani in particolare) una percezione schizofrenica della cultura greca: tutti, sedotti o meno dai nostri studi liceali o universitari, rendiamo omaggio alla grandezza della civiltà classica, ma appena il discorso oltrepassa la soglia dell’ellenismo, il nostro interesse cala d’improvviso per riemergere, semmai, in vista dei primi moti d’indipendenza agli inizi dell’Ottocento. Risultato: la nostra conoscenza della letteratura neoellenica “tout court” è assai deficitaria e, di conseguenza, anche quella di generi di più largo seguito come il noir.
Solo di recente ha “bucato” l’elastico muro dell’indifferenza dei nostri lettori Petros Markaris, il quasi settantenne autore greco, che ha regalato ai territori dell’indagine una modernissima Atene e alla galleria dei detective un umanissimo commissario Charitos. Ma, accanto a lui, anche altri autori hanno prodotto opere degne di un interesse meno fugace e I falsi di Parigi, pur con i suoi limiti, è una di queste.
Il suo autore, Petros Martinidis (1946), ha percorso un’impeccabile carriera accademica e ora insegna alla Facoltà di Architettura e all’Accademia di Belle Arti dell’Università di Salonicco. Oltre a dedicarsi ai suoi studi, di cui nel libro c’è un’ampia eco, si è interessato anche di letteratura di indagine scrivendo qualche saggio e pubblicando ben quattro romanzi ambientati nella sua città.
I falsi di Parigi costituisce il suo esordio e si può tranquillamente affermare che è un romanzo a due facce o, se si preferisce, a due velocità: nei primi due terzi la vicenda si snoda un po’ pigra e sonnolenta negli ambienti accademici del protagonista, il professor Pavlos Makrís, a cui la polizia, comparsa nella sua villa nelle persone del calvo e pericoloso ispettore Evghenidis e della giovane e affascinante viceispettrice Leda Pavlidu, chiede conto della scomparsa di un suo conoscente, certo Dimitris Skuros; c’è di mezzo peraltro anche un’imbrogliatissima questione di quadri rubati il cui valore reale non è accertato, ma che sembrano essere uno dei motori dell’intricata vicenda.
La storia quindi all’inizio avvince non tanto per l’aspetto propriamente criminoso quanto per la sfida, neppure tanto sotterranea, che si instaura tra la giovane e rampante detective e il maturo professore di provincia: entrambi, per motivi diversi, tesi alla ricerca della verità sul caso (in silenziosa concorrenza con l’ambizioso Evghenidis), ma anche reciprocamente attratti in un valzer di slanci e repulsioni dal sapore adolescenziale.
Cosicché per lunghe pagine il lettore, talvolta incapace di cogliere tutte le allusioni a chiave al mondo accademico greco e di metabolizzare il profluvio di citazioni colte da parte del protagonista, si smarrisce un po’ nell’intreccio e preferisce lasciarsi guidare dalla vecchia ma sempre intrigante storia d’amore e (forse) di sesso tra un pigmalione e la sua pupilla.
Poi, verso la fine, il ritmo improvvisamente subisce un’accelerazione improvvisa e gli indizi lasciati stancamente depositare qua e là dall’autore assumono nuova importanza in un completo rovesciamento di ruoli e di situazioni che lascia il lettore (piacevolmente) sorpreso ma anche un po’ stordito. E in questo contesto, completamente stravolto rispetto all’inizio (e non possiamo dire di più per non rovinare l’effetto sorpresa), l’autore ci ricorda onestamente, ma anche in tono un po’ beffardo, la sua passione per i maestri del giallo e a p. 215 cita qualche capolavoro del genere (da Chase alla Highsmith, dalla Christie a Banks) che lo deve senza dubbio aver ispirato nello stendere il romanzo accanto naturalmente alla sua esperienza professionale.
Il risultato però rimane contraddittorio: l’estrema abilità con cui l’intreccio viene risolto nel finale non ripaga di numerose pagine in cui l’unico motivo per andare avanti sembra quello di far andare a letto i due protagonisti (e anche questo avviene in modo del tutto anticonvenzionale); e, d’altra parte, l’insistenza delle citazioni colte da parte del protagonista, se acquistano un senso poi alla fine, tuttavia sembrano anche un segnale dell’autore ai suoi colleghi-lettori volto a sottolineare la particolare ottica con la quale si è avvicinato al noir.
Certo, il mondo accademico greco, soprattutto nel settore della storia dell’arte, non ne esce bene, descritto minutamente nelle sue ipocrisie, meschinità, lotte di potere, rivalità, tradimenti (in amicizia e in amore); viceversa Salonicco (e in misura minore Atene) non si stagliano con l’evidenza dovuta rimanendo legate a fredde citazioni topografiche o a consuete notazioni urbanistiche (il traffico, lo smog).
Opera prima dunque dai due volti, ma promettente: anche se il fatto che, a due anni di distanza dalla sua uscita, non sia stata prevista la pubblicazione dei volumi successivi del ciclo non lascia ben sperare sull’accoglienza avuta dal pubblico italiano.
Voto: 6.5
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