Denunciamo subito un doppio conflitto di interessi cosicché il lettore possa poi giudicare il nostro intervento con equanimità.
Per chi, come chi scrive queste note, è stato da sempre un ammiratore del noir scandinavo (partendo da motivazioni del tutto personali e geo-climatiche per approdare a quelle più specificamente letterarie), l’invasione che il mercato italiano sta subendo in questi ultimi mesi, invece di suscitare una benevola simpatia, sta cominciando a provocare una crescente irritazione: sembra che ogni editor si sia trasformato in un cercatore d’oro, alla ricerca forsennata della pepita che possa far la sua fortuna. E molti dei romanzi che ci vengono proposti, oltre a non essere dei capolavori, molto spesso non raggiungono neppure un dignitoso livello artigianale.
Corollario di questa impostazione è l’assoluta arbitrarietà con la quale i suddetti editor decidono di far tradurre i romanzi seriali: stabilito d’autorità che il pubblico italiano vuole in quel determinato momento determinati contenuti, lanciano l’autore di turno scegliendo l’episodio della serie che si ritiene più adatto, noncuranti del fatto che, più d’una volta (e l’abbiamo denunciato anche su queste colonne), si brucia il legittimo interesse del lettore per le puntate precedenti in qualche modo anticipate dagli sviluppi di quelle tradotte.
Senza scomodare il recente caso della Marklund che, nel passaggio da Mondadori a Marsilio s’è persa un’avventura della sua intrepida eroina, anche la nostra cinquantenne Egholm ha subito il solito sfregio: Il danno è infatti il terzo volume dedicato alla giornalista Benedicte Svendsen e il testo è pieno di rimandi a quanto accaduto precedentemente e che, forse, leggeremo tra qualche anno.
Messo in chiaro dunque che quel che viene dal Grande Nord non sempre è oro a ventiquattro carati (e infatti il puro intreccio noir di questo romanzo mostra una certa tendenza al grigiore); e che la posizione del lettore che non abbia letto la serie in originale è assai scomoda, dovendo ricostruire il background dei vari protagonisti, tuttavia Il danno non risulta essere transitato invano sugli scaffali delle nostre librerie.
L’autrice avrebbe potuto infatti benissimo (e banalmente) insistere sul problema dell’integrazione dei giovani musulmani nell’opulenta società danese: quella mancata dei turchi Mustafa, Eihan, Metin; e quella raggiunta dal pakistano Aziz, anche se a prezzo dell’emarginazione dalla comunità originaria. Oppure avrebbe potuto ancor più nettamente (e prevedibilmente) denunciare il razzismo strisciante di uomini della strada e delle istituzioni. O addirittura avrebbe potuto caricare le tinte del ritratto della provinciale Århus, teatro della vicenda, con tutto il contorno di bozzetti folkloristici che tanto attirano il lettore lontano da tali atmosfere.
La Egholm invece ha deciso sì di utilizzare questi ingredienti, ma solo come contorno al nucleo intorno al quale è stato costruito il libro: la paternità e la maternità responsabile e i limiti che incontrano nella società del benessere e della tecnologia medica.
Si comincia infatti dalla protagonista, la giornalista Svendsen, che, rimasta incinta giovanissima, ha dato in adozione il figlio e che, ormai sulla quarantina, avverte l’esigenza di sapere dove sia: e il desiderio si fa tanto più impellente quanto più l’inchiesta scava nella vita di alcune giovani morte dopo aver prestato il loro utero per una fecondazione artificiale.
Ma anche John Wagner, il poliziotto che coordina le indagini sulle morti misteriose e che è amico di Dicte, affronta lo stesso problema, seppur da un’ottica diversa, quella di una coppia – lui e Ida Marie – che non riesce ad avere figli.
La migliore amica di Dicte e sua quasi coetanea, Anne, infermiera, è invece stata adottata, ma ben presto le fragili sicurezze sulla sua origine vengono a cadere e precipita in un gorgo di angoscia dal quale il fragile marito musicista Anders (segnato pure lui da un’infanzia difficile) e il figlio Jacob non valgono a salvarla.
E mentre la riflessione sulla maternità si approfondisce, l’indagine avanza; ma, anche qui in modo abbastanza originale, abbiamo piuttosto una serie di indagini convergenti: quella giornalistica di Dicte, in parte condotta con l’attuale compagno, il fotografo Bo; quella ufficiale diretta da Wagner; quella personale di Aziz che, ormai integrato e fidanzato con Rose, la figlia di Dicte, vuole vederci chiaro sui collegamenti tra il traffico di uteri in affitto e i suoi amici di un tempo; senza dimenticarci di Anne che va in cerca del suo passato.
Una complessità strutturale dunque alla quale purtroppo, come già accennato, corrisponde un certa mancanza di ritmo e fantasia; senza contare la tendenza a utilizzare scene d’impatto cinematografico – pericolo molto presente nei narratori noir odierni – ma scarsamente sorprendenti. Come scontati e zuccherosi appaiono i dilemmi sentimentali della protagonista, incerta tra il fascino sciupato del suo Bo, che rischia la vita in Iraq per un servizio fotografico, e quello palestrato del dottor Jeppe Vrå col quale ha una fugace ma intensa frequentazione.
Prova insomma ricca di chiaroscuri che, pur non raggiungendo le vette letterarie suggerite dalle interessate citazioni dei risvolti di copertina, tuttavia ha una sua dignità artigianale che va sottolineata.
Voto: 6.5
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