Ecco la storia di tre personaggi ribelli e del loro rapporto con i rispettivi autori: tre modi diversi di intendere il grande gioco degli pseudobiblia.
Nel 2008 un esercito di inutili sceneggiatori porta sullo schermo un romanzo della scrittrice australiana Wendy Orr: “Alla ricerca dell’isola di Nim” (Nim’s Island). Nim è una insopportabile bambina che vive nel più falso paradiso terrestre che esista: uno stereotipo ecologico targato Disney costituito da un’isola vulcanica sperduta nell’Oceano Pacifico.
Al di là degli zuccherosi e imbarazzanti messaggi pseudonaturalistici del film, ciò che interessa a questa rubrica è che fra i generi di prima necessità che arrivano sull’isola - pagati non si sa con quali soldi - ci sono anche i libri di Alex Rover. Nim è felicissima di aprire lo scatolone di legno dei rifornimenti e di frugare fra le cose assolutamente necessarie su un’isola deserta - come il National Geographic! - alla ricerca de “La mia avventura araba” (My Arabian Adventure), il nuovo atteso romanzo dello scrittore-avventuriero: «Chissà che succede in Arabia» è lo strano commento della bambina. (Visto che Nim e suo padre hanno computer supertecnologici, perché si fanno spedire libri e riviste su carta dall’altra parte del mondo? Non sarebbero più comodi gli eBook?)
«È stata la maledizione di tutta la mia vita - dice il rude protagonista del romanzo, ben impersonato da Gerald Butler. - Io non vado in giro a cercare guai, ma in qualche modo loro trovano me. La domanda non è “Sto per morire?”, la domanda è “Come morirò?”. Sarà per mano dei predoni del deserto o per colpa della sete?»
Ufficialmente Alex Rover è uno scrittore “maschio” che narra con fiero cipiglio le avventure vissute in ogni angolo del mondo, affrontate con il coraggio che in ogni occasione sa tirar fuori da se stesso. In realtà, dietro quella firma si nasconde la nevrotica Alexandra (Jodie Foster), che vive da molto tempo segregata in casa vittima di mille fobie: novella Salgari, scrive romanzi avventurosi di pura fantasia per la Random House, parlando di luoghi mai visti se non sul web e di un coraggio che in realtà non ha mai avuto.
Mentre Nim legge l’ultimo romanzo di Rover - della cui bibliografia non conosciamo altro titolo se non “Passage to Patagonia” - Alexandra è nei guai: il suo personaggio avventuroso è sull’orlo di un vulcano e non sa come salvarlo. Scrive al padre di Nim per raccogliere informazioni sulla vita nei pressi di un vero vulcano, e così per caso diviene amica di Nim. Quando quest’ultima avrà bisogno d’aiuto, la nevrotica Alex dovrà affrontare un viaggio di mezzo mondo per andare a salvarla... lei che non riesce neanche ad andare a prendere la propria posta!
La morale della storia è che Alex vince le proprie paure e torna a vivere grazie all’aiuto del suo personaggio. «Una volta tanto metti in pratica quello che scrivi - è l’incitamento di quest’ultimo. - Esci da questo maledetto appartamento, buttiamoci nell’avventura, parti on the road con me. In fondo non si sa mai: potrebbe piacerti.»
Per una scrittrice salvata dal proprio personaggio, ce n’è un’altra che ha instaurato con lui un rapporto ben diverso. È il caso di Alice Tanner, autrice della collana di romanzi per l’infanzia con protagonista Jack Cannon, “boy detective”. (Misteriosamente il doppiaggio italiano la trasforma in Helen, ma ormai siamo abituati alle italiche “magie”!)
Attraverso romanzi come “The Castle of Stone and Light”, “The Night of Fire and Rain”, “The Girl from Columbia” e “The Map of Tomorrow”, la Tanner (interpretata da una strepitosa Amy Irving) ha reso celebre il giovane detective che ora si trova accanto a lei, sotto forma di allucinazione, perplesso perché la donna gli fa capire che quello appena finito sarà l’ultimo romanzo della serie.
«Ma scrivere è tutta la tua vita - le fa notare il ragazzo-personaggio - che farai se non scrivi?» «Quello che avrei dovuto fare anni fa», risponde lei puntandosi una pistola alla tempia. Stiamo parlando dell’incipit dell’episodio “Tra le righe” (Unwritten, 2003, 7x03) del telefilm “Dr. House – Medical Division” (House, m.d.).
Alice non riesce ad uccidersi e quindi subisce un destino peggiore della morte: le cure dello scorbutico dottor House! Questi è un fan dell’autrice e, di fronte all’ostinazione della paziente nel non collaborare, decide che conoscendo il contenuto dell’ultimo suo libro potrà capirne di più. Però non esistono copie digitali, visto che l’autrice una macchina da scrivere: analizzando le bobine di inchiostro House potrà accedere alla fine dell’ultimo romanzo con Jack Cannon.
«Jack Cannon non è morto - scopre House. - È peggio: dieci libri che portavano a un confronto finale e lei lascia tutto aperto. Perché fa così?» «Perché vuole vendere l’undicesimo» è l’ovvia risposta del dottor Taub. Il terribile dottore però non si dà pace: la Tanner era intenzionata ad uccidersi, quello scritto sarebbe stato l’ultimo romanzo di Cannon eppure non portava ad alcun tipo di risoluzione degli fili tessuti nella collana. «Non posso lasciare che Jack Cannon finisca così!» è il cruccio di House, il quale si premura di curare la donna perché questa dia al suo personaggio la storia che merita.
Quello che però il dottore non sa, è che i libri di Cannon sono il modo che ha l’autrice per tenere in vita il ricordo del figlio, morto in un incidente d’auto. Alla fine lo stesso House risolve la situazione, ma ciò che ottiene è una brutta sorpresa: Alice tornerà a scrivere, sì, ma si è stufata di libri per ragazzi! «Che fine fa Jack? - si informa il dottore. - Il suo ultimo libro non dà nessuna risposta.» «Il mondo in cui io ho finito la storia di Jack è perfetto - è l’ultimo commento della donna. - Ogni lettore sarà libero di decidere quale destino gli vuole riservare.» Bella fregatura per un fan!
Come abbiamo visto, Alice è una scrittrice che vuole a tutti i costi far uscire di scena il suo personaggio, malgrado questi la preghi di non farlo. Esisto però anche casi contrari, come quello de “L’ultima avventura di Rip” (The Last Adventure of Rip DeBolt). Il racconto, apparso in Italia nel 1979 raccolto ne Il Giallo Mondadori n. 1603, è firmato dal giallista Andrew Wickstrom ed è apparso originariamente sul n. 425 della storica Ellery Queen’s Mystery Magazine (aprile 1979): in esso vi si narra l’ultima notte dello scrittore Ward Hogan.
Questi è il celebre autore dell’altrettanto celebre detective hard boiled Rip DeBolt, duro e manesco nonché protagonista di una lunga serie di romanzi di successo - fra cui conosciamo i titoli di “Sangue e guai” e “Occhio assassino”. Hogan ha già ricevuto l’anticipo dall’editore per il nuovo libro, che si è però letteralmente già bevuto senza aver scritto una sola riga. «Gli ingranaggi chiedevano d’essere lubrificati - è la scusa che dice a se stesso. - Un bello Scotch, due dita appena, tanto per mettere in funzione il meccanismo». Ma il meccanismo non parte e il romanzo non sembra volersi scrivere da solo.
In una notte fredda e tempestosa bussano alla porta dello scrittore: l’uomo che gli si pone davanti sembra uscito dai suoi romanzi, è praticamente come egli immaginava fosse Rip DeBolt. «I suoi occhi erano d’un grigio ardesia, abbastanza gelidi da indurre una serpe a sgusciare al riparo.» Hogan pensa subito ad un trucco dell’editore: mandargli un attore vestito alla DeBolt per stuzzicarlo a scrivere. (Se mai faranno un altro film su Rip, questo tizio merita la parte».) È però subito chiaro che non si tratta di un trucco: è il personaggio letterario che si è fatto carne per parlare direttamente con il proprio autore!
«Mi hai appiccicato l’etichetta dell’eroe, ma non attacca. Che c’è di eroico, in me? - rimprovera DeBolt allo scrittore. - Il mio gioco è la brutalità. Il mio metodo, quando lavoro a un caso, è di terrorizzare fino all’ultimo teste o all’ultimo informatore, fino ad arrivare a quello che è all’origine di tutti i guai. Le probabilità sono che lo faccia fuori. Non sono un eroe. Sono una perversione, il sogno di un sadico. Mi hai fatto così maledettamente duro da rendermi inumano».
Le intenzioni del manesco Rip sono chiare: vuole far desistere Hogan dallo scrivere l’ennesimo romanzaccio violento con lui protagonista: si è stufato di questa vita e vuole mettervi fine. Ma lo scrittore ha firmato un contratto, non può smettere un personaggio così, di punto in bianco: propone invece l’idea di scrivere un ultimo romanzo che metta da parte Rip e introduca un nuovo personaggio, qualcosa di diverso.
«Non servirebbe a niente - commenta rude il personaggio, che conosce i propri polli. - Appena a corto di danaro, troveresti il modo di riportarmi in vita». Altre ipotesi vengono scartate, e non rimane che una soluzione. «Hogan, bisogna che sia un suicidio. Nient’altro funzionerà. Hai sentito, Hogan?» e lo scrittore alza gli occhi giusto in tempo perché la pistola di Rip spari all’altezza degli occhi...
Magari è solo l’incubo di uno scrittore, che ha anche la coscienza sporca di bere invece di scrivere. Non la pensa così la polizia che, il mattino dopo, trova Hogan morto apparentemente suicida. Nella perquisizione della casa viene trovato un foglio che probabilmente racchiude un appunto per un romanzo: un gioco letterario che va riportato per intero!
«Il tenente si chinò sul foglio e lesse queste parole: “Sembrò che Hogan non m’avesse sentito, perché continuava a scrivere, dando le spalle al divano. ‘Hogan’, dissi, ‘bisogna che sia un suicidio. Niente altro funzionerà. Lo capisci, Hogan? Hogan? Hogan!’ Il verme si voltò e mi guardò proprio mentre sollevavo la pistola all’altezza degli occhi”.»
Ci sono personaggi che danno la vita ai propri autori, altri che la tolgono; ci sono scrittori che amano uccidere le proprie creature e altri che le fanno vivere in eterno. Questo è il glorioso processo della letteratura.
Attenti, però, scrittori: una notte, fredda e tempestosa, magari un vostro personaggio potrebbe venire a bussare alla porta...
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