Per qualche strano scherzo della natura Miranda sembrò capire comunque i miei vaneggiamenti confusi, perché poco dopo me ne stavo – non chiedetemi con quale aspettativa – più o meno sveglio e appollaiato sullo sgabello del banco colazione a fissare truce una tazza di caffè fumante che prometteva tutto e niente. Sarei mai riuscito a tirar fuori qualcosa di sensato da quel guazzabuglio che Miranda mi stava raccontando?

Alzai le mani, disperato, per tentare almeno di frenare quel mare di parole che andava riversandomi addosso. Venne fuori che Miranda si era imbattuta in quella ragazza, mentre stava portando a spasso il cane. Ne era rimasta colpita, naturalmente, complice anche l’amnesia retroattiva di Elisa che ricordava solo pochi brandelli degli eventi, così come Miranda me li aveva riportati. La scena del crimine non diceva gran che, tranne che le uniche impronte insanguinate sul pavimento erano quelle dei piedi nudi di Elisa e delle zampette candide del gatto. Poteva o non poteva essere stata lei a uccidere la sua compagna di appartamento, voleva sapere da me Miranda?

Il caffè stava cominciando a entrare in circolo e le mie attività cerebrali, lentamente, andavano facendosi più simili a quelle di un primate che a quelle di un’ameba, il che, di per sé, era già piuttosto confortante. Esaminai con Miranda tutti gli aspetti della vicenda. Il coltello lungo tredici centimetri che, prima di diventare l’arma del delitto faceva parte di un set da cucina stile orientale. La personalità della vittima che, da viva, era stata una via di mezzo tra una geisha e un samurai. La povera Elisa che sembrava totalmente succube dei capricci dell’altra, ridotta a origliare in silenzio oltre quel muro, torturandosi la mente con le immagini di quegli amplessi che poteva solo sentire, ma non vedere. Un rapporto lesbico, voleva sapere Miranda? Forse no, forse non del tutto, ma di certo tra le due donne poteva esserci stata una strana sorta di legame morboso, o almeno questo sembravano suggerire le deposizioni di amici e vicini, soprattutto ripercorrendo all’indietro la sequenza dei vari traslochi.

Il kimono, la gatta, il tè verde, le manie orientali, quello strano triangolo tra gli amanti occasionali e le due donne. Perché ad esempio Stella invitava sempre i suoi amici quando sapeva che Elisa era in casa, invece di approfittare dei suoi turni di lavoro che, almeno due sere a settimana, le avrebbero lasciato il campo libero? Forse una sorta di voyeurismo perverso, forse una dipendenza psicologica, forse un rapporto malsano. E quel Giulio in particolare che non si trovava, del quale gli inquirenti non riuscivano a rinvenire alcuna traccia, come se non fosse mai esistito.

Miranda, che dalla scena del crimine non contava più di ricavare alcuna rivelazione, mi osservava affascinata mentre mi spericolavo nelle mie elucubrazioni. Dopo avermi dato del “maschio sciovinista paranoico e sessista” pian piano si andava convincendo della mia teoria. Ma le prove? Mi chiedeva... dovevo procurarle delle prove.

Ora, credetemi, per un uomo in pigiama che è appena stato tirato giù dal letto alle prime ore del mattino sentirsi chiedere oltre alle divinazioni anche delle prove, non è cosa di poco conto. Comunque alla fine ci arrivai.

L’esame degli schizzi di sangue che dal corpo della vittima si erano irradiati fino al soffitto, proiettandosi tutto attorno per la stanza e sulle lenzuola candide, evidenziavano la sagoma e la posizione dell’aggressore che, inginocchiato sul corpo della sua vittima, aveva vibrato un colpo dopo l’altro senza pietà. Una delle cose che gli inquirenti infatti non riuscivano a capire era come avesse fatto l’assassino a uscire, attraversando l’atrio del palazzo e poi la strada, completamente lordo di sangue. Un esame della stanza da bagno aveva evidenziato che nella doccia qualcuno si era lavato accuratamente, ma di chi si trattava: di Elisa o del fantomatico Giulio?

Fui io a suggerire a Miranda di esaminare meglio l’interno del kimono indossato da Elisa. Quel che trovò furono minuscole tracce ematiche all’altezza del pube. Più che sufficiente per l’incriminazione formale, da lì in poi sarebbe stato tutto un susseguirsi di perizie e controperizie tra l’accusa e la difesa, ma la cosa ormai non ci interessava più.