Dogtown di Mercedes Lambert, Einaudi Stile Libero Noir 2011.
Whitney Logan, avvocatessa, e Lupe Ramos, prostituta. Una bella coppia di segugi nel mondo dell’immigrazione clandestina. A Los Angeles, caldo boia come da manuale.
Storia raccontata in prima persona da Whitney, venticinque anni, procuratore legale, lavora in un ufficio carino in un posto non proprio carino: all’angolo un emporio, a pianterreno un ristorante thailandese e “di fronte un noleggiatore di film porno”. Ma ne ho letti di peggio. In difficoltà nel pagare l’affitto e dunque pronta, dopo qualche tentennamento, a seguire il caso della bella e ricca (all’apparenza) Monica Fullbright, direttrice di Crystal’s (dice lei). Obiettivo, ben remunerato, ritrovare la sua governante scomparsa, una certa Carmen Luzano, clandestina guatemalteca. Sospetto da parte di Whitney che non gliela racconti giusta, confermato in seguito dalle indagini (niente direttrice e niente abitazione lussuosa) con la povera governante trovata morta ammazzata.
Altri spunti su Whitney sparsi in qua e là: sesso dimenticato da tempo, abbigliamento “rampante”, “bel viso e capelli fantastici”, biondi a caschetto, tette piccole ma sode, addome piatto. Ginnastica, per rafforzare tutti i muscoli del corpo, al Gold’s Gim seguita da Rodney, gira con una Datson azzurra.
Ricordi che arrivano a sprazzi, le bravate dell’adolescenza e della gioventù, il “peso” e l’assillo del padre, tutti i dubbi e i tormenti di una ricerca che potrebbe anche lasciare. Perché continuava a cercare la ragazza? “Chiunque fosse, era venuta a Los Angeles con sogni simili ai miei: essere libera e avere successo in quella grande città”, le bevute (diverse), la prontezza di spirito, la paura, gli scontri, i momenti di debolezza, di indecisione, la ripresa e la fermezza “Sta’ sicura che scoprirò chi sei e che cosa ti è successo”. Forte e fragile allo stesso tempo.
Prostituta giovanissima Lupe Ramos, che le fa da interprete e ha la fissa di “essere la reincarnazione di Norma Jean”. Sembra svampita ma è sveglia e non priva di deduzioni. Un figlio a casa con la nonna, la foto con sé del suo ragazzo. Una specie di grillo parlante che tende a scuotere la sua compagna di avventura ”Ce l’hai ora, la possibilità di fare qualcosa di buono, un atto di giustizia e di uguaglianza, e invece te ne stai seduta lì”.
In giro per Los Angeles che diventa una parte importante della storia. Nel centro tra i quartieri malfamati e tra quelli eleganti e sfarzosi di Beverly Hills, tra quelli brulicanti di latinos o dove ci sono scuole ebraiche, gallerie d’arte, cinema e librerie porno, centri di detenzione, teatri, agenzie di collocamento, fotografi…
Personaggi particolari che spuntano in qua e là: il mendicante che la sfotte, l’ubriaco che parla con il bicchiere, duri in jeans di marca, culturisti poco vestiti, una coppia giovani breaker neri che balla, coreani ricchi su grandi auto, neri e ispanici pigiati dentro station wagon e insomma tutto il mondo variegato che circola e vive in questa grande città.
La vicenda è ricca di colpi di scena tra cui la scoperta di una nuova identità della morta, manifestanti contro l’ingerenza straniera in Guatemala e in tutto il Centro America, le passioni d’amore che si intersecano fra loro e con certi aspetti di lotta politica, economica e di attività criminale. Una profonda riflessione sul destino che non ripaga i sogni “che la gente è costretta a lasciarsi alle spalle quando viene a vivere a Dogtown”. E Dogtown è, in qualche modo, lo specchio del mondo.
Linguaggio secco, serrato, che scivola nei meandri della coscienza per risalire all’esterno di una società complessa e problematica con qualche leggera punta di costruito che si scorge a fatica. Una malinconia di fondo per quello che si vorrebbe e non è.
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