Nato come sorta di “esperimento” del commediografo Neil Simon e diretto da Robert Moore, Invito a cena con delitto è un divertito omaggio al genere giallo da parte del noto autore di teatro, da sempre appassionato del genere e per la prima volta libero di cimentarsi con un esplicito atto d’amore per le sue letture di ragazzo, assemblando in un unico progetto tutte le ipotesi di trama e/o risoluzione dei gialli classici virandole in chiave demenziale o anche bonariamente denigratoria. Punto di partenza fondamentale del film è il far riunire nello stesso luogo i più famosi detective del mondo, i cui nomi ammiccano a eroi della carta stampata: Sam Diamond (in italiano, Diamante) ricorda il Sam Spade di Dashiell Hammett, così come Dick Charleston e Dora Charleston prefigurano altre due creazioni dell’autore americano, Nick e Nora Charles (apparsi in L’uomo Ombra e sempre alle prese con occasioni mondane, bevendo martini o cocktail);  Sidney Wang rappresenta invece Charlie Chan, inventato da Earl Derr Biggers, mentre gli ultimi due investigatori, Jessica Marbles e Milo Perrier, richiamano alla mente le più famose creature di Agatha Christie, Miss Marple e Hercule Poirot. I sei esperti del crimine vengono convocati nella tenebrosa villa di un eccentrico e presuntuoso miliardario, che li sfida a risolvere un delitto, a suo avviso insolubile, che avverrà in casa sua a mezzanotte precisa nella stanza dove ha deciso di “rinchiuderli”. Così, all’insegna di statue che cadono, stanze scambiate, passaggi sinistri, una cuoca sordomuta e un inquietante maggiordomo cieco, i nostri si troveranno alle prese con un vero e proprio rompicapo assurdo, da cui riusciranno a uscire attraverso le più improbabili delle soluzioni, di cui nessuna sembrerà essere la definitiva, fino allo sberleffo finale. Corredato di dialoghi deliranti e una recitazione impeccabile, Invito a cena con delitto affila una serie di trovate azzeccate che rendono la visione un sicuro divertimento. Innanzitutto, la scelta di Peter Falk come interprete di Sam Diamante, che con quel suo fare il verso al linguaggio dei duri dell’hard boiled, è semplicemente irresistibile; esilarante poi è l’accostamento padre cinese-figlio giapponese adottato (!) tra Wang e il giovane Willy, visto più come facchino tuttofare che come figlio vero e proprio da parte del celebre quanto gelido genitore; azzeccata è anche la scelta, a dire il vero insolita e, almeno sulla carta, estremamente rischiosa, dello scrittore Truman Capote come sinistro e diabolico architetto dell’enigma, il ricco Lionel Twain; una menzione particolare spetta inoltre ad Alec Guinness, bravissimo nell’interpretare il ruolo del maggiordomo cieco che scompare e riappare con o senza i vestiti. Detto questo, però, nel film non resta molto altro di memorabile: l’idea di voler riprendere a tutti i costi ogni soluzione possibile per poi smontarla e contraddirla si traduce infatti in una macchinazione senza capo né coda al limite dello stucchevole (soprattutto nei finali che sembrano non concludersi mai); Poirot che pensa sempre a mangiare, poi, è una trovata un po’ infelice, senza contare le numerose battute omofobe che spesso prendono il sopravvento a favore di una comicità razzista e tendenziosa. In definitiva, un divertissement non pienamente riuscito come omaggio-saluto al giallo classico (per altro rappresentato solo parzialmente, con ben due personaggi sia per Agatha Christie che per Hammett), e che finisce per mettere troppa carne al fuoco risultando finto e poco convincente.

Extra

Intervista a Neil Simon; Filmografie; Trailer Vari