Bruno Astolfi è tornato. Ormai è quasi un appuntamento con un caro, vecchio amico. Con Scalera di sangue, infatti, siamo alla quarta apparizione per il detective privato creato dalla penna del regista Umberto Lenzi, che lo rende questa volta protagonista di un’inchiesta ambientata nella Roma del 1945. Reduce dalle complicate vicende che lo hanno visto muoversi nel Cinevillaggio creato a Venezia dai fascisti di Salò e dopo aver militato nelle file della Resistenza, Astolfi torna in una capitale che porta ancora evidenti i segni e le ferite della guerra appena conclusa. Quando il regista Mario Camerini gli propone di sorvegliare l’attore Andrea Checchi e le sue equivoche frequentazioni, ad Astolfi sembra mostrarsi l’opportunità di svolgere un compito facile e ben retribuito, ma presto si troverà ad affrontare un misterioso e spietato assassino che colpisce una serie di persone legate in qualche modo all’attore e al film che sta girando. Il detective non tarderà a rendersi conto che le radici dei delitti affondano nelle ultime, convulse giornate della guerra. Si troverà, così, a doversi misurare con un antagonista spietato, senza scrupoli e capace di mettere in pericolo anche gli affetti più cari dell’investigatore, in una caccia serrata e senza tregua.
Azione, ritmo e una scrittura essenziale e incisiva sono gli ingredienti che conferiscono al romanzo la capacità di catturare il lettore dalla prima all’ultima pagina, secondo la migliore lezione del poliziesco. La trama è ben strutturata e si salda efficacemente a una ricostruzione storica e d’ambiente resa gustosa attraverso rapide pennellate. Semplicemente geniali, poi, alcuni camei, su tutti quello che vede contribuire addirittura Renato Guttuso alle indagini del detective privato, oltre agli interessanti riferimenti al mondo cinematografico che Lenzi conosce assai bene e ci presenta con passione e occhio disincantato. Decisamente siamo di fronte a un personaggio e a uno scrittore che hanno ancora moltissimo da raccontare ai lettori.
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