Quando si parla di noir scozzese – intendendo con questa definizione una varietà locale tipica di quello più genericamente anglosassone – i nomi che immediatamente si affacciano alla nostra mente sono quelli di Alexander McCall Smith e – più ancora – di Ian Rankin che, con il ciclo dell’ispettore John Rebus (sfortunatamente concluso dallo stesso autore peraltro senza uccidere la sua ingombrante creatura), ha conquistato un posto di primo piano nell’Olimpo del thriller internazionale: intrecci complessi, personaggi scavati con perizia nella loro psicologia, ambientazione edimburghese ricca di particolari suggestivi, ma al tempo stesso concreta e realistica.
Ebbene, leggendo questo romanzo d’esordio della scozzese Lin Anderson, scordatevi tutto questo: nonostante l’entusiastica buona volontà dei recensori d’Oltremanica – scrupolosamente citati dall’editore italiano nella quarta di copertina, il libro è – letteralmente – da buttare. Eppure la scrittrice – a dar retta a Wikipedia – è già all’ottavo romanzo con la stessa protagonista, segno che, almeno ai lettori scozzesi, la serie piace; e, d’altra parte, la stessa Newton Compton si è affrettata a pubblicare a tambur battente la seconda avventura: evidentemente la Anderson ha trovato anche in Italia insospettabili estimatori.
L’azione si svolge a Glasgow, ma a parte qualche tocco da cartolina, il paesaggio è anonimamente nordico: pioggia d’estate (che peraltro non è più una novità neppure alle nostre latitudini mediterranee), prati verdi, laghi e laghetti; la Scozia insomma come se l’immagina il lettore medio che non ci ha mai messo piede.
Il fulcro della storiaccia – in tutti i sensi – è la solita rete di insospettabili pedofili che insidia adolescenti e giovani universitari grazie alla pervasività di Internet, al desiderio delle vittime di arrotondare le loro misere paghette di studenti con prestazioni sessuali trasgressive, al bisogno di affetto di generazioni abbandonate dai loro genitori in carriera troppo concentrati sul loro ombelico per preoccuparsi di altro. Uno di loro, Jamie Fenton, con la sua morte dà inizio all’indagine; altri due, Neil MacGregor e Jonathan Stewart, con le loro tragiche vicissitudini e coraggiose testimonianze, riescono a far identificare il colpevole.
Il gravoso compito di far trionfare il Bene ricade invece sulle spalle di una classica – ma in questo caso poco riuscita – coppia, quella costituta dall’ispettore Bill Wilson e dal medico legale Rhona MacLeod. Ma non aspettatevi chissà quali performance investigative: lui si muove con lo stesso acume di un solido padre di famiglia, coadiuvato da uno staff niente affatto eccezionale e l’unico suo acuto si riduce al tentativo di scalfire la rete di amicizie che, in alto loco, protegge i pedofili e i loro insospettabili alleati; lei, ragazza-madre a 19 anni (ma ha dato in adozione il figlio Liam senza più rivederlo) ha una passionale e complessa storia d’amore con il suonatore di sax irlandese Sean senza però farsi mancare qualche sana sbandata nei confronti di un affascinante ed enigmatico consulente informatico della polizia, Gavin MacLean. Per complicarsi (e complicarci) la vita la dottoressa MacLeod, vedendo il volto del ragazzo ucciso che ha una certa somiglianza con lei, sente improvviso il desiderio di rintracciare il figlio, noncurante del fatto che questa indagine supplementare getti nell’angoscia il partner di allora, quell’avvocato Edward Stewart che ha fatto carriera, sta conquistando un seggio in Parlamento e che tutto vuole tranne che uno scandalo affossi la sua brillante ascesa nell’olimpo politico nazionale.
La Anderson, miscelando senza troppa maestria brutali sequenze di sesso e sdolcinati avvitamenti sentimentali; allusioni alla dura realtà della Rete e complici strizzate d’occhio a temi addirittura appendicistici (il figlio dato in adozione, perché – va da sé – il residuo di cattolicesimo, che sopravvive nella secolarizzata Scozia, non aveva permesso alla MacLeod di abortire!); oneste intemerate contro le infiltrazioni massoniche e delinquenziali nei gangli dello stato e critiche al carrierismo dei politici, arriva alla fine a svelarci il volto di almeno uno dei pedofili (peraltro ampiamente sospettabile già a metà romanzo!): ma il bersaglio grosso si dilegua, nonostante la tenacia investigativa dell’ispettore Wilson.
Il risultato è un romanzo banale, scontato, con psicologie tagliate con l’accetta, con il tema ormai frusto delle insidie della Rete a cui peraltro la Anderson fa un riferimento metaforico nel titolo originale: ma, a inacidire la torta, è intervenuto anche l’editore italiano traendo fuori dal cappello un’improbabile traduzione che sembra rifare il verso a quelle, fantasiosissime, che rallegravano le locandine italiane degli anni Settanta.
Esperimento da dimenticare, dunque. Ma, su questa posizione, temiamo, come già accennato, di non essere in numerosa compagnia…
Voto 3.5
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