Toc, toc, toc, toc.
Passi sul parquet lucido. Passi di tacchi. Pesanti sotto un corpo leggero.
La donna fissa lo sguardo sul video, arriva alla poltrona, si siede, sfila le scarpe tacco dieci. Appoggia i piedi sul legno che non è freddo. Lo percepisce gelido, non lo ammetterebbe mai. Mai ammetterebbe di avere paura.
Deve convincerlo che nessun tipo di errore è stato fatto, niente senno di poi a creare dubbi.
"Avevi detto che ci avrebbero messo un po' a capire che era stato avvelenato, invece neanche un giorno, porca puttana," dice la voce maschile.
L'uomo vuota il bicchiere, non si gira a guardarla, gli occhi fissi su un'altra donna.
Il Tg 3 racconta con dovizia di particolari. Tetradotossina, dice l'inviata davanti alla casa dello scrittore. Tipo di veleno, provenienza, effetti. Se l'è studiata bene la parte.
C'è una folla lì intorno che è un déjà vu. Altri delitti, altra gente. Stessi gesti, fiori appoggiati e segni di croce fatti.
"Sai bene com'è andata. Non avevamo calcolato l'imprevisto. In fondo che differenza fa? Un giorno o una settimana non cambia niente," lo rassicura lei.
"Cambia. Potrebbero scoprire anche il resto."
"Impossibile. Tranquillo, nemmeno il più temibile degli hacker se ne accorgerebbe. Abbiamo sostituito il file, l'abbiamo fatto con tutti i crismi com'era nei patti. E su questo siamo i soli a saperlo. Quella del veleno è stata una decisione tua." La donna ha le braccia incrociate. Nasconde il tremore delle mani.
"Hai un conto da pagare. La mia parte," continua. E gli sorride.
Lui la guarda, è la migliore. Non gli interessa come donna, non è il suo tipo. E' mora, a lui piacciono le bionde. Ma ha fatto il suo dovere di assassina. Ha trovato il veleno e l'ha usato.
Ha sostituito il file con le sue mani. Sa che l'ha fatto nel migliore dei modi. La morte dello scrittore è stata conveniente anche per lei, a maggior ragione dovrebbe fidarsi.
Ma nel suo vocabolario, quel verbo non esiste più. Nel passato, magari. C'era stato un tempo, neanche troppo lontano, in cui si era fidato di qualcuno che guidava i suoi passi, che gli era indispensabile come l'aria che respirava. E che l'aveva tradito nel peggiore dei modi.
"Dieci giorni. Se fra dieci giorni nessuno scopre il cambio allora avrai il tuo compenso."
"Non era nei patti," replica lei. Gli occhi gelidi e il sorriso finto, la voce che non cambia tono.
Bastardo, pensa, ma non lo dice.
Ha paura di lui. Una crudeltà che non si aspettava, che era uscita improvvisa, come fosse impazzito.
Uccidere lo scrittore era stato indispensabile, non si trattava di quello. Anzi, l'idea era venuta a lei.
Era stata brava, aveva fatto in modo che lui si convincesse dell'unica strada da prendere. L'aveva convinto con poche parole e tante prove lasciate in giro. Prove che avevano insinuato prima il dubbio, poi la convinzione sull'unica, possibile via. Ed era stata così abile che lui si era convinto di avere avuto l'idea assassina per primo, tanto da convocarla per esserne l'esecutrice. Tanto da offrirle qualcosa di molto prezioso in cambio. Il prezzo del delitto.
Era stato tutto perfetto.
Prima di quel momento che non era stato un momento, ma tanti. Ore.
Cinque ore prima che lo scrittore morisse. Paralizzato e assolutamente lucido.
Lei avrebbe preferito che morisse all'istante, era la cosa giusta da fare. Lui invece aveva preteso il veleno. Tetradotossina per il suo effetto. E aveva voluto che lei calibrasse la dose per farla funzionare nei tempi stabiliti.
Completamente paralizzato e consapevole, lo scrittore era sdraiato sulla poltrona mentre lui gli leggeva la versione originale del libro. In modo teatrale, con gesti e pause da primo attore. E quando aveva finito aveva attaccato con l'altra, di versione, quella cambiata. E qui il suo tono era diventato basso e piatto, la bocca vicina all'orecchio del morente.
Non aveva mosso un muscolo Lucarelli, non poteva. Anche lo sguardo era fisso se non per piccoli, quasi impercettibili movimenti.
Lei aveva cercato di isolarsi, di pensare ad altro mentre le parole scorrevano trascinando per sempre lo scrittore nel baratro del nulla.
Non c'era riuscita. Per tutto il tempo non aveva fatto che fissare gli occhi neri di lui, seguirne i movimenti. Le sue pupille si erano fuse con quelle di Lucarelli, avevano fatto lo stesso identico, lungo e lieve percorso. Finché alla fine la vista le si era appannata e allora aveva dovuto strizzare gli occhi.
Quando li aveva riaperti, lui gli occhi non li muoveva più.
Lo stillicidio l'aveva sconvolta.
Cinque ore...e... un ricordo.
Un particolare.
Riaffiora.
Prima quasi invisibile, poi nitido nella consapevolezza.
"Non può essere" si dice. Eppure ora è talmente concreto che quasi le gambe cedono.
Un errore è stato fatto, così grossolano che le sembra impossibile possa esserle sfuggito. Non c'è possibilità di porvi rimedio. Aveva pensato a tutto fuorché a quello, qualcosa di talmente stupido che non può farsene una ragione.
Qualcuno potrebbe accorgersene. Il sovrintendente Coliandro ad esempio. Lui ha quel tipo di candore che porta alla verità. Non che possa, per ora. Ma dopo?
La donna guarda il compagno assassino. Sa che non esiterebbe a usare la tetradotossina anche per lei. Seguirebbe i piccoli movimenti delle sue pupille nel corpo immobile. Ha la convinzione che ne proverebbe piacere.
Un brivido la scuote, stringe le braccia intorno al corpo ancora di più.
Poi infila a fatica le scarpe e si alza.
"Devo andare, si chiederanno dove sono finita," dice. La voce ha un accenno di tremore.
Lui stacca gli occhi dallo schermo su cui continuano a scorrere immagini della casa, di gente, di fiori e di libri.
"Tu hai paura di me, questo mi sorprende," dice.
"Non c'è poi così fretta, aspetteranno. Siediti," continua.
Gli occhi sono due fessure.
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