Il nuovo romanzo di Francesco Carofiglio si innesta nel filone “amarcord” degli anni 80.

Siamo in un paesino del sud, tre ragazzi e una ragazza, tutti ventenni, attraversano quel periodo di sospensione fra la fine dell’adolescenza e l’inizio della vita adulta. E’ il momento delle decisioni importanti: Ciccio ama la musica blues e rock e vorrebbe dar vita a una radio libera che dia una ventata di novità al paese che sembra imbalsamato.

Tonio, genietto dell’elettronica, vorrebbe abbandonare l’officina del padre, dove è costretto a lavorare controvoglia. Teresa vuol lasciare il paese, diventare medico e non sposarsi subito, come vorrebbe il suo ragazzo, Giovanni, aspirante calciatore professionista.

Quattro amici inseparabili, ognuno con il suo sogno.

Radiopirata non è soltanto un romanzo di formazione, a me pare, ma un romanzo “dell’anima” in cui, citando Wim Wenders, “Non conta la storia, bastano gli spazi fra i personaggi”.

Mi ha fatto ricordare quei film francesi che analizzano con la scientificità di un entomologo i rapporti familiari, di coppia, le dinamiche interpersonali. Uno per tutti, “Una domenica in campagna” di Tavernier.

Il leit motiv che accompagna l’intera narrazione sembra essere l’indagine psicologica. L’ottica attraverso cui l’autore guarda i suoi personaggi, anche i minori, è quella della sofferenza o quantomeno dell’amarezza.

I ragazzi cercano di reagire, ma si intuisce che anche loro soccomberanno in tutto o in parte.

La parte finale mi è sembrata un po’ segnata dalla fretta di concludere chiudendo tutte le caselle. Personalmente mi sarebbe piaciuto vedere sviluppate ulteriormente le vicende umane dei vari personaggi.