A distanza di quattro anni da quello straordinario romanzo storico che è stato Ucciderò Cristoforo Colombo (Cairo Editore), il giornalista e scrittore Gino Nebiolo torna a trattare di Storia, questa volta con un’accurata opera saggistica, intitolata Soldati e spie, pubblicata da Cairo.
“Primavera 1943: il generale Charles de Gaulle, guida della Francia Libera, si rifugia ad Algeri, la colonia che si è ribellata al regime fantoccio di Vichy. Tra le priorità sulla sua scrivania c’è “il progetto italiano”: se e quando le sorti della guerra lo permetteranno, sarà imperativo occupare militarmente la Valle d’Aosta, una parte del Piemonte e della Liguria, per poi annetterle. Come atto di giustizia per la pugnalata inferta il 10 giugno 1940 da Mussolini a una Francia vinta e in agonia.
16 luglio 1965. Giuseppe Saragat e Charles de Gaulle presiedono la grandiosa cerimonia d’inaugurazione del Traforo del Monte Bianco: un tunnel ora collega i due versanti delle Alpi, unisce l’Italia alla Francia. Ma nonostante la solennità del momento, l’atmosfera tra i due capi di Stato non è cordiale. Per capire le ragioni di quella tensione bisogna tornare indietro di vent’anni, nel cuore dell’Europa in lotta contro il nazismo.
1940: de Gaulle in esilio a Londra è diventato comandante in capo della Francia che combatte l’occupazione tedesca, ma i rapporti col suo «padrone di casa» Winston Churchill sono, a dir poco, complicati. Il Général non si capacita che gli Alleati – Roosevelt in testa – esitino a riconoscere la legittimità del suo governo, lui che avrebbe diritto di partecipare alle decisioni strategiche, lui che vorrà sedere al tavolo dei vincitori quando si faranno le sorti della nuova Europa. E quando arriva quel momento, a guerra finita, de Gaulle matura il progetto di una sostanziosa correzione del confine orientale francese, con un’operazione militare articolata che ha come fine l’invasione di ampie zone di Valle d’Aosta, Piemonte e Liguria. Ferve, in contemporanea, l’attività di spie alle sue dipendenze che devono preparare il terreno all’annessione. Per alcuni mesi è il caos: l’Italia è in ginocchio, gli Alleati intimano alla Francia il ritiro immediato, il Général minaccia Torino e finanzia comitati di propaganda filoannessionisti...
Rigorosamente documentato (l’autore ha potuto accedere alle carte degli Archives Nationales di Parigi) e appassionatamente polemico, Soldati e spie racconta un episodio poco conosciuto di uno dei momenti più travagliati del XX secolo, in cui viene data voce ai suoi protagonisti con l’immediatezza propria del romanzo. Le vicende militari, politiche, umane scorrono davanti agli occhi dei lettori attraverso una narrazione fluida che conferma la vocazione di Gino Nebiolo di inviato molto speciale nella Storia.”
Anche noi di ThrillerMagazine troviamo l’episodio storico al centro di questo libro estremamente interessante, oltre che poco noto. È ovvio che quanto accaduto alla fine della Seconda Guerra Mondiale alla frontiera orientale dell’Italia (come conseguenza della sua adesione all’Asse e del suo ruolo nell’ambito del conflitto sino all’armistizio) ha in qualche modo fatto dimenticare sia la perdita di limitate aree territoriali ad occidente (Briga e Tenda) sia soprattutto le mire di De Gaulle che, nel pretendere di restituire uno smacco ricevuto da parte di un’Italia senz’altro opportunista, coglieva contestualmente l’occasione di gettare le basi per un assetto geopolitico e strategico futuro a favore della sua Francia.
Gino Nebiolo è un giornalista e scrittore piemontese. Ha lavorato per vari importanti quotidiani, dalla Stampa alla Gazzetta del Popolo al Giorno, e anche per la Rai, soprattutto come inviato speciale e corrispondente dall’estero. È stato a Pechino, primo tra i giornalisti occidentali ai tempi di Mao, dopo la rottura dei rapporti tra Cina e Unione Sovietica; poi a Madrid, Buenos Aires, Il Cairo, Beirut, Parigi. Per le reti televisive e per i telegiornali ha firmato numerosi reportage, dalla stagione dell’indipendenza dei paesi coloniali alle guerre in Africa e in Medio Oriente. Ha scritto i libri L’uomo che sfidò Mussolini dal cielo, Vite fuori misura, La seconda vita e il romanzo storico Ucciderò Cristoforo Colombo. Vive tra Roma e Parigi.
Lo abbiamo contattato, per fargli qualche domanda…
Caro Gino Nebiolo, benvenuto su ThrillerMagazine.
Ci ritorno volentieri anche perché trovo serietà, gusto della ricerca, proposte coraggiose.
Parliamo di “Soldati e spie”, il suo ultimo libro. Abbiamo sopra riportato il risvolto di copertina del volume, con i suoi contenuti. A livello introduttivo, vuole aggiungere qualcos’altro per spiegare obiettivi e contenuti di questo suo lavoro?
Soltanto respingere subito il sospetto che io voglia togliere carne dal piatto degli storici di mestiere, per i quali nutro grande rispetto. Però mi chiedo come è stato possibile che un episodio importante della nostra vicenda nazionale (il rischio di perdere la Valle d’Aosta, una buona parte del Piemonte e un pezzo della Liguria) sia stato sottovalutato se non del tutto ignorato. Tanto è vero che sono pochissimi gli italiani a conoscenza di questi fatti. Per quanto lavoro di screening io abbia fatto non ho trovato, sul tema, che qualche pagina, qualche saggio, qualche articolo. Niente di più. Neppure i giornali italiani dell’epoca davano notizie sulla occupazione francese di vaste zone italiane. Invece la stampa d’Oltralpe li riferiva puntualmente, portando l’acqua al mulino di de Gaulle: cioè accentuando e dilatando la portata politica dei sentimenti filofrancesi di minoranze valligiane. Devo ammettere che parecchie cose inedite in Italia le ho ricavate da materiali scovati a Parigi, a Grenoble, oltre che dalla ricchissima documentazione tratta – appunto - dagli Archives Nationales e da quelli militari e des Affaires Entangères, su cui ho in fondo costruito l’ossatura del mio libro.
I soldati e le spie, sì, ma anche la diplomazia, la politica, la società, eccetera: i fattori in campo sono stati tanti. Tirate le somme, quale potrebbe aver contato più di tutti nella risoluzione della faccenda?
Certo. Ma in genere la diplomazia francese era ostile al pino di de Gaulle. Temeva un futuro buio nei rapporti tra i due Paesi e aveva la consapevolezza che gli Alleati non lo avrebbero approvato e magari lo avrebbero ostacolato. Come poi successe. Il ministro degli Esteri Geurges Bidault rimase sempre buon amico dell’Italia e al suo sodalizio personale con Alcide De Gasperi si deve poi il ridotto, ridottissimo bottino che la Francia portò a casa a spese dell’Italia con il trattato di Pace del 1947.
Il modo in cui l’Italia si accodò alle vittorie tedesche in Francia, per quanto alleata della Germania, resta quantomeno discutibile. Ma le pretese pseudo storiche attraverso le quali de Gaulle pretendeva di leggere un’anima prettamente francese sulle regioni di cui voleva prendere controllo a riparazione del torto subito, erano quasi del tutto campate in aria, giusto?
Il “colpo di pugnale nella schiena” Mussolini lo vibrò senza dubbio. Ciò che de Gaulle rifiutava di capire era che l’Italia uscita dalla guerra era ben altra cosa dall’Italia fascista: muoveva i primi passi in democrazia e militarmente si stava schierando con gli Alleati. Quanto alle pretese storiche, per esempio la Valle d’Aosta fu francese per soli 14 anni, una inezia. E se l’idioma valdostano è di origine francese, e per questo la Francia accampava ragioni anche culturali, perché non le accampava con la Svizzera francofona? Pretesti. Per non dire poi delle altre Valli, quella di Susa, quelle del Cuneese, che usano dialetti ocitani o provenzali, o non usano neppure quelli ma solo il piemontese e, ovvio, l’Italiano.
Nondimeno, ci furono dei movimenti irredentisti, autonomisti o apertamente filo francesi che appoggiarono de Gaulle…
Sì, uno più o meno clandestino in Valle d’Aosta. Organizzato dagli agenti provocatori francesi propugnava un plebiscito in favore della Francia. Quegli agenti avevano preparato persino le schede elettorali, compivano azione profonda di propaganda tra i valligiani a discolpa dei quali bisogna ricordare che il fascismo, con Aosta, si era comportato da colonizzatore: proibito l’uso della lingua francese e dei patois, i dialetti provenzali e savoiardi, cancellati i nomi francofoni della toponomastica e persino dalle lastre tombli, immissione di manovalanza di altre regioni per alterare la composizione etnica della Valle. Tutto questo, e altro ancora, aveva esacerbato i valdostani accentuando la loro l’ostilità per l’Italia. Diventare francesi era un modo di tentare un riscatto. Ma si trattò comunque di una minoranza benchè, in certi momenti, numericamente anche abbastanza cospicua. Però anche gli intellettuali che si battevano per l’annessione in cambio di una autogestione valdostana del territorio ammettevano che la loro idea federalista asarebbe stata frustrata dal sistema francese, che è accentratore per eccellenza. Aosta sarebbe diventata una sottoprefettura dipendente in tutto e per tutto da Parigi.
Quanto de Gaulle giocò sul sentimento di rivalsa per “la pugnalata subita” e quanto invece il suo fu un ragionato calcolo strategico-geopolitico, mirato a privare parte dell’industria italiana delle alcune delle sue primarie fonti di energia idroelettrica, e a collocarsi in una posizione militarmente non solo più difendibile, ma addirittura protesa nel cuore nell’Italia settentrionale?
Della pugnalata ho detto. Quanto ai fattori economici, si era illuso che impadronirsi della rete idroelettrica avrebbe impedito la rinascita industriale del Piemonte e favorito quella della Francia. Nessuno osava spiegargli che la Valle d’Aosta, trovandosi al di qua delle Alpi, era irraggiungibile sei, sette e anche otto mesi l’anno a causa delle nevi e del maltempo. Nelle sue Memorie de Gaulle mentendo e capovolgendo la genesi della vicenda scriverà di non avere mai pensato ad annettersi la Valle anche per questi fattori meteorologici.
Dopo l’armistizio, o persino dopo la fine della Guerra Mondiale, ci fu un momento di reale rischio di un conflitto tra Italia e Francia, catalizzato da questa crisi sui confini?
Non tanto un rischio di conflitto armato tra i due paesi (del tutto virtuale poiché l’Italia non sarebbe stata in grado a quei tempi di reggere uno scontro) ma di un conflitto armato reale si profilò quando gli angloamericani imposero a de Gaulle di rititrarsi dalle zone piemontesi occupate. De Gaulle sulle prime rifiutò ma quando gli dissero che i cannoni alleati erano pronti a sparare, e il presidente americano Truman gli pose un secco ultimatum, preferì ordinare alle sue truppe di abbandonare la Valle d’Aosta, quella di Susa (i francesi erano giunti sono alle porte di Torino) e quelle che portano a Cuneo. Nelle sue Memoria de Gaulle disse di avere ribadito agli Alleati la sua estraneità al progetto annessionista. Lo disse quindici anni dopo per cosolare se stesso e i suoi concittadini. I documenti che io cito nel mio libro lo smentiscono decisamente: telegrammi, ordini del giorno, testi stenografici di sedute ministeriali.
Sono vari gli episodi narrati che mi hanno colpito. Tra questi, il momento in cui soldati di Salò e partigiani antifascisti combatterono praticamente a fianco per qualche giorno, pur di contrastare l’avanzata degli Chasseurs di de Gaulle.
È una storia inedita. Il CLN (Comitato di liberazione nazionale) e i partigiani in Valle d’Aosta erano fermamente ostili ad una occupazione militare francese. Dato che gli angloamericani avevano ormai varcato la Linea Gotica e risalivano nella pianura padana, CLN e partigiani chiesero ai militi della divisione Monterosa, ultimo relitto della repubblica di Salò, di sbarrare la strada ai reparti francesi che si profilavano sul Piccolo San Bernardo e rallentare la loro marcia verso Aosta, fare in modo che i primi ad entrare in Valle fossero gli Alleati: ciò che accadde. Soldati di Salò e partigiani sbarrarono insieme la strada ai francesi. Credo che in tutta la Resistenza questo episodio sia stato unico e irripetibile, anche per la singolarità delle condizioni in cui si svolse.
Per quel che mi riguarda, è stato molto istruttivo anche leggere i vari commenti di Churchill e Truman su de Gaulle…
Non lo amavano. Churchill nutriva stima per la sua determinazione, per avere scelto di continuare la guerra anziché arrendersi, come aveva fatto il maresciallo Petain che consegnò la Francia ad Hitler ma Roosevelt dapprima e poi Truman lo guardavano come a un uomo pieno di boria, teso soltanto a restituire alla Francia la perduta grandeur. Io racconto un episodio interessante: quando per fare digerire de Gaulle al’opinione pubblica americana Roosevelt convinse Jack Warner, titolare della Warner Brothers di Hollywood, a produrre un film sul Generale e la Resistenza francese. Dopo parecchie traversie il film non fu realizzato e in suo luogo Roosevelt ne fece girare uno su Stalin, in quel momento della guerra più utile di de Gaulle. Con Churchill i rapporti erano spesso tempestosi, ricchi di scambi di ingiurie e in una circostanza il britannico diede del traditore a de Gaulle che rispose dandogli del gangster.
Ovviamente, poi, de Gaulle, nelle sue Memorie, l’articolarsi delle vicende franco-italiane l’ha poi raccontata piuttosto a modo suo.
Ho detto che quindici anni dopo uno può togliersi il gusto di raccontare le cose a modo suo. Ma i fatti restano: l’esercito che occupa parte del Piemonte non è roba inventata, le spie dislocate in Valle d’Aosta e altrove per spingere i valligiani al plebiscito contro l’Italia dipendevano dal suo ufficio, le dichiarazioni rilasciate, sia pure sovente ambigue, recavano la sua firma. Questa è Storia documentata.
Un commento soggettivo piuttosto che oggettivo su de Gaulle?
Grande militare, buon statista, oratore convincente. Antidemocratico, con una visione unilterale della politica, nemico dei partiti che ricambiavano l’avversione. Bugiardo, ma spesso questo non è un difetto. Patriota ad ogni costo. Egocentico. Una volta disse: “Se voglio sapere che cosa pensa la Francia interrogo me stesso”.
“Dovremo tagliare… Si prepari, mon cher ministre, a un’amputazione… Ma si rassicuri, con l’anestesia sentirete pochissimo dolore.” Una frase decisa e pregna di ironia cattiva, accompagnata da un gesto della forbice, con le dita. È de Gaulle, a dirla. De Gasperi, a subirla, in un signorile silenzio. Sono confidenza che lei ricevette da De Gasperi stesso, negli anni 50. È solo uno dei tanti protagonisti della Storia che lei ha avuto modo di conoscere personalmente nella sua lunga carriera giornalistica…
Beh, essendo stata una carriera lunga si è riempita quasi da sé di figure anche importanti. Qui l’elenco sarebbe troppo lungo. Mi basta ricordare si essere stato il primo giornalista a intervistare, nel 1962, il Dalai Lama appena fuggito dal Tibet invaso dai cinesie riparato sulle montagne dell’India. Oppure l’incontro con Arafat in pigiama sotto una pioggia di bombe israeliane in Libano nel 1981. Ma preferisco fermarmi. Caso mai tenere i ricordi per un prossimo libro, se Dio mi concederà una proroga…
Dopo aver raccolto il materiale per Soldati e spie, le è mai venuta la tentazione di usarlo per un romanzo, piuttosto che per un saggio? E se sì, l’ha magari bloccata il fatto che una buona fetta di documentazione non avrebbe trovato palese utilizzo?
Buona idea, quella di romanzare l’avventura gollista in Italia. Grazie per il suggerimento ma purtroppo arriva in ritardo.
Classica domanda di chiusura: su cosa sta lavorando adesso?
Il titolo sarà “La paga del giornalista” e inizia con un mio incontro con il conte Rivetti della grande dinastia biellese dei tessili. Finita l’intervista sto per andarmene e lui mi blocca: “Scusi, ma lei, la pagano?” Non si capacitava che un tizio, per il solo fatto di avergli rivolto qualche domanda, dovesse anche essere ricompensato. Era mai un lavoro, quello?
Gino Nebiolo – Soldati e spie. Cairo Editore. Pag. 224. Euro 14,00.
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