Da sei anni un gruppo di amici, per lo più scrittori alle prime armi, si riuniscono per passare la notte di Halloween nello chalet di uno di loro: oltre al piacere di stare insieme, il motivo della riunione è quello di leggere a turno storie di fantasmi o del soprannaturale in genere. Possono essere storie celebri (come “Heavy Set” di Ray Bradbury, edito in italiano come “Il peso massimo” ma qui stranamente chiamato “Gioco pesante”) o appena scritte da uno di loro, ma l’importante per questo gruppo di amici è che siano paurose.
Quest’anno Rob manca all’appello – e Lesley, sua amante, ne soffre – ma vuole comunque partecipare inviando per posta un suo nuovo racconto, intitolato “Il cerchio”; sarà Lesley, con malcelata commozione, a leggerlo quando arriverà il suo turno. «Erano sei anni che la sera di Halloween si riunivano nel capanno sul lago, per leggere racconti di fantasmi.» La parte squisitamente metaletteraria lascia ben presto spazio al soprannaturale: «Non erano preparati a ciò che avvenne quella sera del 31 ottobre.» Ed infatti i personaggi non lo sono.
La lettura del racconto scandisce la realtà esterna, e tutti gli orrori in esso descritti prendono vita finché il gruppo di amici non siede davanti al camino in circolo – ma non sarà questo il motivo del titolo del racconto! – a decidere il da farsi. Bruciare il libro per far smettere quell’orrore? Ma se così facendo ne rimangono prigionieri? Sbirciare il finale? Un finale ben scontato, visto l’andazzo della serata. L’unica soluzione è usare il libro per modificare la realtà: riscrivere il finale aggiungendo una semplice riga. Una riga che chiuderà il cerchio... Una figura geometrica che non inizia ma che soprattutto non finisce mai...
Questa trama brevemente raccontata corrisponde al racconto “Il cerchio” che lo scrittore statunitense Lewis Shiner pubblicò nel novembre 1982 su The Twilight Zone Magazine, subito raccolto nell’antologia “La notte di Halloween” (13 Horrors of Halloween, 1983 – arrivata in Italia l’anno successivo grazie ad Editori Riuniti).
Dopo più di vent’anni la storia viene rimaneggiata e diventa “Il libro maledetto” (The Circle), tredicesimo episodio mai andato in onda nelle TV americane della serie “Fear Itself” (2008) creata da Mick Garris.
Quest’episodio – diretto dal venezuelano Eduardo Rodriguez - aumenta vertiginosamente la dose metaletteraria già presente nella storia originale, e lo si capisce subito dal fatto che insieme a Richard Chizmar alla sceneggiatura c’è Johnathon Schaech, che ricopre anche il ruolo principale. Niente di strano, è vero: tutti i film e telefilm sceneggiati dalla coppia Chizmar-Schaech vedono quest’ultimo in un ruolo importante, ma ne “Il libro maledetto” abbiamo il paradosso che un vero scrittore (Schaech) interpreta un falso scrittore (il Brian della storia). E con “falso” non si intende solo “cinematografico”...
Brian, come abbiamo detto, è uno scrittore che ha riscosso un successo incredibile con il suo primo romanzo: “Sete di sangue” (Blood Thirst), scritto con lo pseudonimo di Robert Collins. «Oltre cinque milioni di copie vendute soltanto in America – gli ricorda la sua agente letteraria Anita. - Undici settimane in cima alla lista dei best seller del “New York Times”; tradotto in altre tredici lingue e diventato un film grazie alla Universal: è un miracolo per uno scrittore praticamente sconosciuto.» Forse è stato tutto questo successo a bloccare Brian e a impedirgli anche solo di iniziare il suo secondo romanzo, per cui ha già ricevuto l’anticipo di mezzo milione di dollari.
Per aiutarlo, la moglie Lisa organizza una piccola “trappola”: con la scusa di andare a passare la notte di Halloween in un isolato chalet di montagna – dove silenzio e tranquillità avrebbero ridestato la musa ispiratrice – in realtà invita anche gli editori e l’agente letteraria di Brian. Il povero scrittore si ritrova così con una specie di tribunale che, in circolo davanti a lui, lo sprona a tornare a scrivere. «Dopo un anno di assoluto silenzio - gli fa notare Anita, - milioni di lettori interessati (per non parlare del tuo editore e della tua adorata agente) si chiedono: quando esce il nuovo libro?»
Come abbiamo visto le licenze letterarie dal testo originale sono molte, ma la situazione finisce per essere la stessa: quando nel bel mezzo della sera bussano alla porta due bambine, le quali affidano alle mani di Anita un misterioso libro anticato e poi svaniscono, ci ritroviamo con dei personaggi in circolo davanti a un libro.
L’agente letteraria apre il tomo, legge il titolo e l’autore e scoppia a ridere: si tratta del romanzo “Il cerchio” di Robert Collins. Tutti ridono, pensando di essere vittime di uno scherzo: Brian ha scritto il tanto atteso romanzo, firmandolo sempre con uno pseudonimo, e li ha attirati nello chalet facendo la parte dello scrittore svogliato e senza idee. Il fatto che Brian non stia ridendo affatto non sembra rovinare la sorpresa: quando egli fa notare che non ha scritto quel libro, «Ma certo – gli risponde sorridendo Anita, - è stato Robert Collins!»
Immancabile l’inizio metaletterario dello pseudobiblion: «Lui e sua moglie si rifugiarono nella casa nella foresta per passare un lungo weekend. L’intento era semplice: voleva ritrovare la sua musa.» Sarebbe un gioco divertente… se fosse un gioco. “Il cerchio” descrive una notte di Halloween trascorsa tra orrore e morte, molto simile a quella originale di Shiner, così come simili sono le opzioni vagliate dai personaggi: distruggere il libro rischiando di rimanere intrappolati in quell’orrore, saltare inutilmente al finale o riscriverlo.
L’ultima opzione è ovviamente quella giusta, anche se il risultato non è affatto “giusto”, ma a questo punto gli sceneggiatori inseriscono una maggiore dose letteraria alla storia, che diventa un aperto omaggio a Stephen King.
Come se non bastasse che il romanzo “Sete di sangue” avesse forti connotazioni kinghiane (la trama è: «L’oscurità avvolge una cittadina al centro del Maine, come fosse un’infezione.»), come se non bastasse che la critica giudichi Brian “il re dell’horror” (celebre etichetta kinghiana), entra in ballo anche la questione dello pseudonimo: Brian nella sua vita non ha scritto altro che un vecchio romanzo sdolcinato, “I prescelti”, e per cercare il successo ha lasciato che un’altra persona scrivesse “Sete di sangue”. Neanche a dirlo, questa persona è Robbie Collins, sua amante nonché geniale scrittrice che è stufa delle promesse di un futuro matrimonio e proprio quella sera di Halloween arriva allo chalet per pareggiare i conti. Vista la violenza della donna, il paragone col George Stark kinghiano è plausibile: resta il mistero di come abbia potuto attraversare la mortale Oscurità che avvolge lo chalet...
L’ultimo omaggio kinghiano è quello che chiude la storia. Come si diceva l’unica soluzione è chiudere il cerchio de “Il cerchio”, cioè annullare il finale mortale e scriverne un altro che salvi tutti, che annulli quella notte e riporti tutto alle 9:45, quando quell’orrore ancora non era iniziato. È però con raccapriccio che Lisa scopre che il marito, scrivendo evidentemente in preda allo shining, ha ripetuto la stessa frase all’infinito: «E alla fine tutto tornò com’era alle 9:45 di quella notte di Halloween.» Non sarà certo il mattino che ha l’oro in bocca, come nella versione italiana del film “Shining”, ma è l’ultimo dei problemi per i nostri protagonisti, intrappolati in un cerchio di citazioni.
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