Da quando ho perso la cognizione della differenza tra lavoro e divertimento, da quando cioè sono diventato un narratore pulp (o ‘de genere’ e di nicchia che dir si voglia) scoprire nuovi filoni, nuovi autori in campo narrativo, cinematografico e fumettistico è sempre stata una grande emozione e una spinta a migliorare. Finalmente, dice uno, da questo imparo qualcosa. Non nascondo che c’è un sacco (ma vagonate...) di materiale che mi piacerebbe veder sparire dal mercato perché realizzato senza professionalità o passione, così per poter dire che si è scrittori, registi o quant’altro. Però quando uno si trova davanti una intera vena d’oro dalla quale può attingere nel senso di integrarla con il ‘ suo’ modo di raccontare. Sarebbe assurdo negarlo. Molti anni fa Kappy mi invitò a tenere una lezione a un suo corso di scrittura (non ricordo più se fossero i tempi di Addiction...) e finimmo a parlare di due concetti importanti che ho stampati in testa a fuoco. La narrativa è sempre costituita dal nano che sale sulle spalle del gigante. Non si può scrivere niente di nuovo se non si conoscono le basi, possiamo solo dare un piccolo contributo sperando che, domani, sia di aiuto a qualcun altro. Il secondo concetto legato strettamente a questo è che per poter stravolgere la struttura di una storia è necessario conoscere molto bene le regole del gioco, altrimenti viene fuori solo un pasticcio senza capo né coda. Le regole della struttura del racconto le avevo apprese al liceo durante le lezioni di Giovanni Pacchiano che, all’epoca, era un professore trentacinquenne ed era ancora lontano dal diventare un critico riconosciuto, però non aveva la spocchia abitualmente mostrata dagli insegnanti di lettere verso la narrativa d’evasione. Però le regole della struttura, il rapporto tra la forma e il contenuto ce le insegnò sulla Divina commedia..non esattamente un campo facilissimo. Io ho cominciato a scrivere principalmente per alimentare i miei sogni e bisogni di storie da quando avevo tredici anni. Da quell’età ho scritto sempre e spesso mi sono trovato a riprodurre schemi di autori che mi piacevano. E, come molti della mia generazione e di quelle successive,oltre alla narrativa propriamente detta è innegabile che il cinema consumato massicciamente8e anche i fumetti se è per questo) hanno avuto su di noi una notevole influenza. Diciamo un manuale di scrittura continuo basato su esempi piuttosto che su chiacchiere. Ora già al mio esordio vero e proprio nel ’90 avevo una certa esperienza alle spalle. Ricordiamoci una cosa. Un romanzo pubblicato, passato al vaglio di editor e redattori e magari sostenuto con scambi di opinioni anche piuttosto duri, vale cento romanzi scritti e rimasti nel cassetto. Diciamo che è come far pratica da soli o con un partner.... (mi riferisco alla pratica delle arti marziali.. che avete capito? Avete capito bene J ). Negli anni seguenti ho continuato ad affinare stile e temi mail vero cambiamento, una percezione mutata del racconto di genere l’ho avuta agli inizi degli anni ’90. In quel periodo ho avuto modo di usufruire di tre differenti(almeno in apparenza) stimoli cinematografici. Da una parte in Francia mi capitò di vedere Hard Boiled di John Woo e da qui ripresi la mia passione peri noir francesi che lo ispiravano almeno nematicamente che avevo visto negli anni del liceo.

Ero abituato a considerare salvo pochi esempi i film di HK delle baracconate fracassone e mi son dovuto ricredere. Tanto da entrare in quella fase di assoluto fanatismo che ancora non è passata per cui mi sono procurato una cineteca con oltre duemila titoli continuamente aggiornata non solo di film di arti marziali ma di ogni genere e paese dell’Asia. Contemporaneamente mi capitò di vedere i film di Rodriguez dal Mariachi (che produsse sottoponendosi come cavia per una casa farmaceutica, già questo un mito) che avevano qualcosa di western, qualcosa di fumettistico,qualcosa di marziale e, sì qualcosa di italiano nel senso che c’era quella virile vigoria che avevano avuto i film di Leone ma anche quelli di Lenzi e Martino solo per fare qualche nome. C’era qualcosa però, sia nei film di Hong Kong che in quelli di Rodriguez che mi lasciava perplesso. Il modo di raccontare, di montare le scene, di mettere l’accento su un dialogo apparentemente troppo lungo o fuori tema che stonava un po’ con il modo ‘pulito’ e massificato cui mi aveva abituato il grande cinema internazionale. Poi arrivò Tarantino e la Pulp Fiction non fu più la stessa. Adesso diciamolo sinceramente, tarantino ha avuto la fortuna di vincere premi prestigiosi e di piazzarsi bene, assestando la sua fama di autore di culto anche presso il grande pubblico. Quando uscì Pulp Fiction era pieno di gente che si riempiva la bocca con battute e citazioni senza capire però che quel suo modo di mescolare i grottesco con il tragico, la commedia con l’azione e agitare (e non mescolare) il tutto per fare un cocktail personale veniva da una grandissima passione e conoscenza per il cinema dei doppi spettacoli, anche quello definito più trash. E oggi ancora molta gente va a vedere i suoi film ma non li capisce realmente, semplicemente perché non ha la cultura per comprenderne i riferimenti e scambia inside jokes e citazioni, variazioni sul tema e strizzate d’occhio per una presa in giro del genere. E quando si prende in giro qualcosa che è piaciuto a generazioni prima di noi si fa sempre bella figura, anche se non si capisce il perché.

Tarantino, Rodriguez, Roth e molti altri, primi tra tutto i registi di HK che son ostati al tempo stesso copiati e copiatori, di questo stile narrativo hanno in realtà fatto un’operazione raffinata e non facilmente decodificabile. Riuscendo comunque a creare opere di intrattenimento anche per chi si ferma a livelli più semplici di fruizione. Oltre agli elementi di cui parlavo che in sostanza si concretizzano nell’attingere dalle fonti più disparate e mescolare meccanismi rodatissimi che si possono alterare ma solo sino a un certo punto, Tarantino e tutto il genere che è stato definito in maniera assolutamente idiota dalla critica ‘post moderno’(perché non sapevano come altro cavolo etichettarlo) è stato di strizzare continuamente l’occhio allo spettatore. Con passi musicali, inquadrature, dialoghi era come se continuamente ti dicessero ‘Eh, ci siamo capiti?’ L’abbiamo visto quel film.Forte, amico, forte!’. Mescolanza di toni e tematiche e una diretta linea con lo spettatore quindi. Okay, bellissimo. Al cinema. Sulla pagina scritta ci hanno provato in molti ma vi assicuro che è realmente difficile. Si rischia dimettere insieme dei pasticci in cui il lettore non capisce chi parla, chi è il protagonista e chi la comparsa. E certi artifizi tipo non usare la punteggiatura, scrivere i dialoghi senza trattino o virgolette, comprimere troppo le descrizioni alla lunga stuccano come si dice il lettore. Perché la lettura rispetto alla visione richiede uno sforzo maggiore di elaborazione tra la parola scritta e la scena che, invece, semplicemente vista ci pare più reale e accettabile perché si svolge davanti ai nostri occhi. Inutile negarlo, le suggestioni cinematografiche sono importanti, possono suggerire addirittura nuove prospettive narrativa, ma il linguaggio è diverso. Non posso veramente riprodurre il bullett ballett di Matrix sulla pagina scritta. È un effetto CGI, posso forse sperare di riprodurne le emozioni con le parole ma si tratta comunque di un adattamento. Così come il modo di narrare del cinema di HK, iperfrenetico quasi da cartone animato richiede un adattamento per poter produrre sulla pagina qualcosa di valido. Personalmente, nella mia ricerca, sto lavorando sulla commistione dei generi cercando, dove mi è concesso, di abbinare l’avventura con l’horror, lo spionaggio con il nero, l’azione con la commedia ma è un primo passo. La forma, nella maggior parte dei casi sottoposta a un primissimo e rigido giudizio del lettore che, se non trova familiarità con il racconto almeno sul piano dell’impatto narrativo tende a rifiutare il testo. Ma di questo parleremo in seguito.