Venticinque anni dopo il primo numero, Micromega, la rivista di filosofia e politica diretta da Paolo Flores d'Arcais, “al servizio delle grandi battaglie civili, della coscienza democratica e della riflessione sulla politica in Italia. Contro il pensiero unico dominante” è il mese scorso uscita con Crimini d’establishment, una raccolta di racconti gialli che indagano sul potere e sugli abusi del sistema. Il volume si apre con un interessante un excursus di Guido Caldiron sulla storia del giallo a livello mondiale, da Dashiell Hammett a Stieg Larsson: la genesi del romanzo poliziesco, gli eroi riluttanti, la perdita dell’innocenza e la ricerca della redenzione, il noir francese della rivolta, fino all’inquietudine svedese. Il giallo viene affrontato nelle sue derivazioni e nelle sue contaminazioni alla luce della storia sociale, una storia ripresa poi come sfondo, ogni volta differente, nei dodici racconti del “Filo Rosso”, scritti dalle più celebri penne gialle e noir della nostra contemporaneità. Così Andrea Camilleri coinvolge il suo Montalbano in una nuova indagine, partendo dal cadavere, orrendamente torturato, di una donna. Loriano Macchiavelli svela la vera storia di Anteo Zamboni, e come davvero andarono le cose, nell’attentato al Duce del 31 ottobre 1926. Poi Carlo Lucarelli, Marco Vichi, Valerio Varesi, Massimo Carlotto insieme a Ciro Auriemma e Piergiorgio Pulixi, Piero Colaprico, Giuseppe Genna, Pepé le Faussaire al secolo Pierfranco Pellizzetti, Monaldi & Sorti, Giovanni Perazzoli col suo giallo all’ombra del Vaticano. Tre sole donne: Margherita Oggero, Grazia Verasani e la già citata Rita Monaldi.
Con delle firme del genere il libro – la consulenza editoriale è di Tommaso De Lorenzis – non poteva che essere di spessore notevole. I racconti scorrono ben scritti, tutti peculiari, tutti si distinguono per una particolare attenzione al substrato sociale del narrato, ciascuno porta il timbro stilistico del proprio autore. E concludo con una citazione dal racconto di Varesi, alcune righe a pagina 97 che riassumono, credo, lo spirito di chi ha lavorato questo progetto e di chi, leggendolo, lo apprezzerà:
«... il prodotto delle società opulente è un progressivo ottundimento critico. Lo stupido è il tipo umano destinato a diventare dominante. Il motivo è banale: l’evoluzione e il miglioramento intellettuale hanno bisogno di fatica, disciplina, sacrificio e dedizione, tutte qualità oggi aborrite dalla maggior parte delle persone. La fatica, sia fisica che mentale, risulta insopportabile e le ultime generazioni non ne hanno nemmeno esperienza. Eppure tutto, in natura, è frutto della fatica, del sudore e del sangue. È dalla sofferenza che occorre passare per migliorarsi».
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