Il mio nome è Marlowe. No, non quel Marlowe.
C’è chi dice che la pioggia lavi le memorie dalla strada della vita: io dico invece che serve solo ad allagare le cantine. E quando questo succede, la gente è costretta a gettar via quello che da anni vi aveva confinato. Cosa si può tenere in cantina sapendo che si rovinerà e che prima o poi l’acqua lo distruggerà? Cos’è che la gente odia con ogni atomo della propria anima? Ovvio, la cosa che le ricorda quanto sia miserabile: i libri. I libri in biblioteca vengono distrutti dal fuoco; in cantina vengono distrutti dall’acqua. (Sugli scaffali delle librerie vengono distrutti dall’indifferenza, ma questa è un’altra storia.)
Quel giorno un sole timido si affacciava dopo lunghe giornate di pioggia. Le cantine del mio quartiere erano gonfie d’acqua - figlie dimenticate di palazzinari poco attenti e di ingegneri distratti - e solo poche cose escono fuori immediatamente dopo alcuni giorni di pioggia: l’arcobaleno, i funghi, le lumache ed io... in quest’ordine di importanza. Vestito come un terremotato asiatico e con una vanga in mano avevo già aiutato alcuni miei vicini, che si erano prodigati in ringraziamenti e chiedevano come potevano sdebitarsi del fatto che avessi liberato le loro cantine. I loro occhi si facevano sospettosi quando dicevo che mi bastava portarmi via la roba strana che avevo trovato rovinata dall’acqua: la “roba strana” erano ovviamente i libri.
Un libro si mette in cantina per farlo soffrire, per torturarlo, per macerarlo: solo ad un libro che ci ha fatto soffrire si può riservare questo trattamento. Quel giorno il mio bottino era ricco: avevo trovato libri scomodi, libri dimenticati, libri disconosciuti dagli autori - i quali poi tenevano le copie invendute nelle proprie cantine, sperando in un’alluvione. Io salvavo quei libri orfani, prigionieri e torturati ed ascoltavo ciò che avevano da dire.
Quel pomeriggio mi stavo accertando che i libri - lasciati aperti sul tavolo di fronte alla finestra - stessero asciugandosi ben bene. I primi tempi usavo un asciugacapelli per velocizzare la cosa, ma avevo scoperto che lasciarli asciugare da soli li rendeva belli gonfi: quasi ad inorgoglirsi d’essere sopravvissuti al diluvio universale. Io, novello Noè, mi assicuravo che i miei sopravvissuti fossero ancora leggibili, sfogliandone amabilmente le pagine dilatate e macchiate.
Fu allora che mi resi conto che una ragazza coi capelli a caschetto mi osservava dalla porta aperta del mio ufficio. (Ufficio che - va specificato - è anche casa mia.)
«Io... io... cercavo il signor Marlowe...»
Non so perché balbettasse, ma forse il fatto che io fossi ancora vestito di stracci, chino a sfogliare le pagine gonfie dei libri come altri accarezzerebbero le curve generose di una donna, non le sembrò un’immagine rassicurante.
«L’hai trovato, dolcezza», le risposi strizzando l’occhio, «in carne e stracci.»
«Se ha da fare posso ripassare più tardi.»
Da come storceva il naso capii che le arrivava anche l’odore di muffa umida che esalava dai libri: un odore che purtroppo non c’è verso di far svanire. Per fortuna si legge con gli occhi e non con il naso...
«Tranquilla, i miei pazienti non sono ancora guariti.»
«Pazienti...?»
Non sembrava ancora convinta che io fossi sano di mente. Com’è che è così difficile per la gente crederlo? «Sì, questi libri. Li ho salvati dalle acque, li sto curando con il sole, perché ciò che contengono ci ricorda che siamo terra che il vento spazzerà via. Ora che ho citato tutti e quattro gli elementi mi sa che mi consideri più svitato di prima.» I suoi occhi me lo confermarono. «Ritorno in modalità professionale. Se è un investigatore bibliofilo che cerchi, dolcezza, l’hai trovato. Se poi devi pulire la cantina, ho una certa specializzazione anche in quello...»
«Io sto... No, deve togliermi una curiosità: cosa ci fa ora con quei libri sporchi e bagnati?»
La guardai stupito. «Li leggo. Cosa dovrei farci con dei libri?» E poi passo io per matto.
«Giustamente comprarli asciutti non dà le stesse soddisfazioni...»
Sorrisi. «Se trovassi questi libri asciutti li prenderei volentieri, ma non è così facile. Guarda qui.» Presi uno dei volumi migliori che avevo trovato quella mattina. «È L’amico della morte di Pedro Antonio de Alarcón: solo un criminale può prendere un libro come questo e buttarlo in cantina. Certo, se andassi da un collezionista potrei anche trovarlo... a prezzi da collezione! Questo invece costa solo un po’ di acqua, e a me resta la doppia soddisfazione di trovare libri impensabili e di toglierli dalle mani distruttrici di gente che non sa apprezzarli.»
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