Questa è una lettura che fa star bene. Scrittura pulita, affilata, diretta, ogni parola un battito che dà vita e corpo a una storia, una bella storia che sta dentro il genere, che ha rispetto per i suoi canoni e non cerca scappatoie o vie d’uscita.

Rischierei di dire una stupidaggine se provassi a metterla giù parlando dell’inflazione del noir e del poliziesco, un’inflazione dovuta alla miriade di proposte che riempiono gli scaffali delle librerie, dove diventa difficile cercare la classica mosca bianca, ovvero la trama che sappia offrire e proporre qualcosa di nuovo.

Cerchiamo di scorgerne il risvolto positivo riportando quanto sostenevano autori come Daeninckx e Izzo, affermando che il genere ha innalzato davanti agli occhi di tutti il dramma della società.

È vero. Se il genere è (stato) specchio del sociale, è altrettanto vero che non può continuare a vivere a sua immagine e somiglianza senza proporre qualcosa. E se una proposta può essere accolta con positività, occorre ridefinire i suoi canoni.

È una riflessione sorta così, mi è venuta in mente mentre affondavo gli occhi con infinito piacere nella lettura di questo straordinario La commissario non ama la poesia, romanzo arricchito di coltissimi riferimenti letterari.

Vivian Lancer è il personaggio protagonista, il commissario, anzi, la commissario della Terza Divisione della polizia giudiziaria di Parigi.

Vicina ai quarant’anni, qualche chilo di troppo, una vita sentimentale con un matrimonio fallito, riversa tutto il suo malessere sul lavoro e, a capo di una squadra di soli uomini, non disdegna di strapazzare ognuno di loro alla prima occasione, mettendo in mostra il lato peggiore del suo carattere.

La sua vittima preferita è il tenente Augustin Monot, un ragazzo affascinante rapito da una accesa passione per la letteratura e che la guida attraverso un’indagine complessa sulla morte di uno strano mendicante noto come Victor Hugo. Un omicidio anomalo e ingiustificato, complicato dal ritrovamento in suo possesso di un sonetto inedito di Baudelaire.

Titolo azzeccato, in perfetta sintonia con la trama. La commissario non ha una grande sensibilità letteraria. Sembra detestare la letteratura. Vive di cose pratiche e in conflitto con sé stessa, ma davanti a un caso del genere dovrà ricredersi e lasciarsi guidare fino in fondo, affidandosi alla sensibilità e al fiuto del suo collaboratore.

È un romanzo denso, coraggioso, a tratti toccante perché rappresenta i sentimenti nel profondo, dove l’abilità dell’autore muove con assoluta destrezza e capacità narrativa la protagonista dentro un sottobosco inesplorato di collezionisti di autografi e grafologi frustrati.

Con un linguaggio toccante e appassionato, Georges Flipo mette pietosamente a nudo, senza invasioni di campo, tutte le velleità intellettuali, dimostrando una sagacia, ma anche una vibrante intelligenza dentro la scrittura.

È una grande abilita quella di entrare con la scrittura dentro il territorio di questo microcosmo e sviscerarlo nelle sue pieghe più nascoste, portarlo a galla e tenere il ritmo della narrazione senza smarrire il filo conduttore che la anima.

Aspetto con impazienza la seconda prova di questo autore con la sua protagonista. Il personaggio reso umanamente vivo e reale dalla straordinaria abilità del suo autore.

Questo libro non è stato soltanto una piacevole lettura, è qualcosa di più, per dirla in breve, mi ha lasciato un piacere immenso.

Giorgio Bona

Con Viviane Lancier della terza divisione polizia giudiziaria di Parigi…

La commissario non ama la poesia di Georges Flipo, Ponte alle Grazie 2011.

Dunque un’altra detective lady tra le millanta. Più precisamente la/il commissario Viviane Lancier della terza divisione polizia giudiziaria di Parigi. Trentasette anni, capelli castani tagliati corti, volto pieno, occhi grigi, un metro e sessantuno. Insomma una traccagnotta pienotta che sta dietro alle diete, dissociata Demis Roussos e dieta Dukan ecc…, che non rispetta con incresciosi risultati (ad un certo punto il suo lato B riempie tutto lo schermo televisivo). E quando si butta su gamberetti, cozze, coscia di pollo, fettine di salamino piccante e riso, sfortuna vuole come conseguenza gastroenterite e febbre alta. Si sposta con la Clio, ama Bach ma detesta i giovani, i giudici, la Francia odierna, la vita parigina, praticamente tutti. Non ama i barboni, la letteratura e i McDo. Trova un senso alla vita solo nel lavoro. D’accordo con gli uomini, niente da fare con le donne. Se la prende spesso con il bel tenente Augustin Monin, alto, biondo, occhi verdi e pure laureato. Logico un turbamento per lui sempre più forte. Mi ricorda un po’ Imma (Immacolata) Tataranni di di Mariolina Venezia (“Come piante tra i sassi”, Einaudi 2009), sostituto procuratore di Matera, sposata felicemente con Pietro ma attratta dal giovane appuntato Caligiuri che le dà una bella scossa dentro. Qui la Nostra non è sposata ma ha avuto una storia con Ludovic Bertan (se lo ritroverà tra i piedi) beccato a letto con una giovane avvocatessa. Un paio di volte al mese si sfoga con il vecchio amico Fabien, brutto da morire (ma sempre meglio di niente). Aggiungo una madre a dir poco pallosa.

La storia si svolge dal 21 gennaio al 22 marzo e vede due situazioni da risolvere: l’uccisione del barbone conosciuto come Victor Hugo per un supposto sonetto di Baudelaire e il tentativo di cattura del pregiudicato Tolosa. Praticamente un viaggio tra collezionisti di autografi e grafologi messi alla berlina, c’è pure di mezzo una medium, non mancano momenti di crisi e di paura con il solito superiore che vuole toglierle l’incarico (un classico) e allora bisogna fare presto.

Scrittura fresca e pungente, personaggi credibili con al centro Viviane che durante il tragitto perde un po’ di verve ma si riscatta nel finale. Spiegazione di tutto l’ambaradan che lascia perplessi (eufemismo) ma non si può avere tutto.

Fabio Lotti