«L’innocente e gradevol febbre del bibliofilo nel bibliomane è una malattia acuta, spinta fino al delirio. Giunta a questo segno fatale, non serba più nulla d’intelligenza, e si confonde colle manie»: così nell’Ottocento Charles Nodier si scagliava contro la detestata mania che si contrapponeva alla filìa. Può un bibliomane arrivare ad uccidere, schiavo com’è della sua malsana ossessione per i libri? Forse è successo, ma di sicuro è uno spunto che non è sfuggito a celebri autori che hanno saputo cogliere le due facce della “bibliomania in giallo”: si può uccidere per un libro così come si può risolvere un caso d’omicidio con uno o più libri.
Mario Baudino ha recentemente pubblicato un saggio illuminante che ripercorre sin dalle origini i temi bibliofili - e bibliomani! - nella letteratura, sia gialla che non. L’abbiamo incontrato per saperne di più.
La cultura occidentale è nata dai libri (credenziali e giuridici), è cresciuta sui libri (scolastici e letterari) eppure scrivere una storia “di” libri e “con” libri non sembra essere una scelta che ripaghi degli sforzi. Men che meno una storia “gialla”, dove i Grandi Antichi (amore, odio, vendetta, etc.) non sembrano voler lasciar spazio a nuovi motivi per uccidere. Cosa c’è di così “strano” in un romanzo di genere che affronti temi librari?
Nulla, direi. Anzi, un romanzo di genere, proprio perché fa uso di grandi spezzoni mitici e mette apertamente in scena il nostro immaginario con minime mediazioni, dovrebbe essere affascinato dalla storia del libro. Il fatto che così non sia, o almeno che questa fascinazione tenda a apparire, quando c’è, piuttosto eccezionale, ha a che vedere con la cultura diffusa, dove il libro quantomeno come oggetto è poco presente, è poco ammantato di aspetti “mitologici”. Una riprova mi pare risieda nel fatto che spesso i romanzi che parlano di libri mettono in scena conventicole misteriose, sette più o meno segrete, personaggi che vivono le loro passioni nell’ombra. Il bibliofilo è spesso un clandestino.
Bibliophile Jacob faceva inseguire al suo protagonista una copia della “Repubblica” fra mille peripezie; Anatole France faceva ammattire un suo personaggio all’inseguimento di un prezioso “Lucrezio”; tutto questo è niente in confronto al successo del personaggio di Gogol’ che insegue il proprio naso! Anche nel racconto sarcastico-umoristico utilizzare libri non sembra ripagare fino in fondo...
Credo che il motivo sia quello che abbiamo appena detto. Le biblioteche sono boudoir piuttosto segreti. Però Umberto Eco e Arturo Pérez-Reverte hanno avuto un grande successo, per non parlare di Carlos Ruiz Zafón, che ha scritto un romanzo popolare con una storia di libri, anzi di “un” libro. Niente di spiritoso, per la verità. Pérez-Reverte passa per sarcastico umoristico, a suo modo, ma secondo me non lo è affatto.
Anche nei romanzi più bibliofili si avverte una certa differenza di fondo tra Europa e Stati Uniti: da noi ci sono tanti modi per considerare di valore un libro (contenuto, rarità, peculiarità, pericolosità, ecc.); gli americani invece tendono di solito a valutarlo solo in denaro. Più un libro ha valore in soldi, più ha valore in generale... Secondo te questo è un vantaggio o uno svantaggio nel creare storie gialle di bibliomania? Come si può cioè far capire al lettore che si può commettere un crimine anche per un libro che vale pochi soldi?
Non dimentichiamo che un grande libraio – mi pare fosse Alberto Vigevani, ma non ne sono sicuro – diceva che dopo aver studiato un libro, il momento in cui se ne decide il prezzo è quello in cui si compie l’opera d’arte.
Dal tuo libro esce un po’ ammaccato Lucas Corso, il celebre “cazador de libros” di Pérez-Reverte. A parte quel caso, non reputi che la figura del cacciatore di libri sia fin troppo ignorata dalla letteratura di genere? Non offre già di suo un aspetto sordido e “giallo” che un lettore potrebbe cogliere facilmente?
È una figura straordinaria. Il maggior interprete mi pare che sia John Dunning, a questo proposito. È il cavaliere solitario, il perdente romantico. Tema difficile.
Malgrado tu citi numerosi esempi, lo stesso si ha l’impressione che nel “mare magnum” degli investigatori di carta stampata quello bibliofilo sia una specie rara (e in via di estinzione). A cosa pensi sia dovuta questa rarità? Forse che il lettore bolla subito come “troppo intellettuale” un investigatore di questo genere? Tutti i personaggi di Joe R. Lansdale sono forti lettori, eppure non credo che l’autore sia considerato un intellettuale...
L’investigatore bibliofilo è la prova che il racconto giallo è totalmente fantastico. Questo a molti non piace. Ritengono che sia “realistico”
Una domanda su un argomento che ThrillerMagazine sta affrontando in questo periodo. Cosa ne pensi dell’editoria digitale? Saresti d’accordo se un giorno ti proponessero di riversare in eBook i tuoi libri già pubblicati in cartaceo?
Non avrei alcun problema; bisogna però salvare un minimo di remunerazione, e l’integrità del testo. Sappiamo benissimo che l’eBook è piratabile e piratato. Ora questo non potrebbe di per sé disturbare affatto. Ma, proprio come avveniva nel Settecento e ancora nell’Ottocento, nel periodo d’oro delle edizioni pirata, la possibilità di creare dei “falsi” con questa tecnologia è illimitata. Ora è vero che un racconto, una volta che l’hai scritto, non ti appartiene più in esclusiva. Ma è altrettanto vero che mi seccherebbe non poco leggere edizioni in tutto o in parte modificate dei miei libri.
Pensi che in un futuro un romanzo giallo potrà parlare di un omicidio commesso per... un eBook? In fondo la replicabilità di questo formato dovrebbe affossare uno dei principali motivi di crimini librari: la rarità!
È vero. Come si può uccidere per qualcosa di immateriale? Però attenzione: il problema non è solo collezionistico. E poi, tutti i romanzi sono possibili. Forse sono stati già scritti.
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