Salve. Mi chiamo Matteo Senesi, sono uno studente di fisica appassionato di cinema e letteratura, e spero di essere anche l’autore di questo esperimento letterario. Perché “Il caso dell’uomo scomparso” è un esperimento letterario, un bizzarro tentativo di commistione tra la vita reale e situazioni del tutto immaginarie. Mi spiego meglio: io i personaggi di questo racconto li conosco tutti, alcuni bene, altri meno, in quanto sono tutti reali e li ho scelti tra gli amici e i conoscenti. Ho lasciato immutati i loro nomi, la personalità e le caratteristiche fisiche, e poi li ho catapultati in una storia poliziesca sul genere hard boiled.
Ciao a tutti. Io sono Roberto Casali, spezzino, e fresco laureato in medicina. Sono il protagonista di questa storia, in quanto ne impersono l’investigatore. Quando Matteo mi ha proposto la cosa ero un po’ perplesso. La vita è già abbastanza complicata senza che uno te la debba anche inventare, ma l’autore ha solleticato così a lungo la mia vanità che ho deciso di concedergli una possibilità.
E poi a chi non farebbe piacere essere il protagonista di un racconto? Per ogni eventualità sarò comunque qui al suo fianco per controllare ogni riga che scriverà, e se non sarò d’accordo ve ne accorgerete.
Detto questo, andiamo a cominciare.
Roberto Casali si svegliò piuttosto di malumore nel suo ufficio. La poltrona di pelle che sembrava l’ideale per fare scena con i clienti e per accavallare le gambe sulle scartoffie della scrivania non era altrettanto valida come letto pieghevole. Aveva reclinato la spalliera e si era sistemato come meglio aveva potuto tra i suoi braccioli per trascorrere la notte, ma l’unico risultato che ne aveva avuto al mattino era stato un tremendo mal di schiena che lo aveva fatto discendere da quel letto in una postura più simile a quella di un uomo di Neanderthal che a un homo sapiens sapiens.
«Maledetta Barbiotti!» inveì raddrizzandosi contro la sua ex padrona di casa che gli aveva dato lo sfratto e che lo stava attivamente ricercando per il saldo di numerosi mesi di pigione arretrati.
Era un uomo di corporatura robusta, e quantunque avesse perso diversi chili negli ultimi mesi era ancora quello che si poteva definire un obeso medio. Perlomeno così lo avrebbe definito un dietologo. Aveva una fronte alta, occhi azzurro chiaro, e un piccolo naso. I capelli erano biondi e setosi, ma un’incipiente caduta cominciava a diradarglieli. Aveva tentato di contrastare la loro caduta con robuste dosi di un preparato, tuttavia la battaglia per il momento sembrava persa. Inoltre il preparato aveva alcune temibili controindicazioni, tra le quali la diminuzione, o sarebbe meglio dire l’azzeramento totale, del desiderio sessuale. Ma potremmo però eufemisticamente dire che per Casali questo non rappresentava un serio problema.
Ma perché devi scrivere queste cose? Non vedo cosa c’entri con il mio personaggio... E in quanto alla diminuzione del desiderio sessuale, portami tua sorella!
Roberto, lo sai bene che non ho sorelle...
Comunque il punto è che non devi scrivere queste cose. Cancella subito l’ultima riga.
Non posso. Tutto quello che scrivo non può più essere cancellata, fa parte dell’esperimento.
Esigo che quella frase scompaia, o non si va più avanti!
Vabbé, ho capito, facciamo così: invito per piacere tutti i lettori a non tener conto dell’ultimo periodo. Contento adesso? Ehi, ma non è che per caso ha smesso di prendere le tue pillole? Guarda che potrebbe essere pericoloso interrompere di nuovo la cura… Va bene, va bene ho capito, la pianto qua. Riprendiamo.
Sentì un enorme buco allo stomaco. Era dal pranzo del giorno prima che non toccava cibo. Per colazione un cappuccino con cornetto non gli sarebbe dispiaciuto, ma anche dei biscotti e un buon caffè nero gli sarebbero andati bene. Frugò a casaccio tra le scatole di cartone – dopo lo sfratto aveva avuto la brillante idea di accatastare tutte le sue cose nel suo ufficio, così da trasformarlo in un magazzino da rigattiere – finché non trovò quella in cui aveva riposto i generi alimentari. Tra lo zucchero e la pasta trovò un pezzo di focaccia genovese. Era dura, di almeno una settimana, e verdolina di muffa.
«Ma che diamine!» si disse addentandola avidamente, aveva mangiato di peggio. Finito quel “lauto” pasto, aveva le mani tutte unte, e non pensò a niente di meglio per pulirsele che di strofinarsele sulla sua camicia. La vita era fatta di gradazioni per l’investigatore Casali, e la sua camicia di dieci giorni, in origine bianca e ora unta e tendente al grigio, ne era un esempio perfetto.
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