Il rapporto tra cinema e letteratura è talmente indissolubile che, data la giovane età del secondo rispetto alla prima, non sarebbe troppo azzardato definire l’arte cinematografica come “sottogenere” della letteratura. Di saggi su entrambe le arti ne sono stati scritti in quantità, ma mai nessuno ha puntato l’attenzione sul loro stretto legame. Fino ad oggi.

È uscito in libreria, per la Edizioni Della Vigna, il saggio Mondi Paralleli - Storie di fantascienza dal libro al film, che si propone di coprire una falla che ha dimensioni mondiali: è infatti il primo saggio in assoluto ad analizzare il cinema di genere fantascientifico tramite il rapporto con le opere di narrativa da cui è tratto. Un numero altissimo di grandi classici di ogni età è tratto da romanzi più o meno riusciti: ora le rispettive storie vengono messe a confronto.

Abbiamo incontrato i tre curatori di quest’opera titanica, Michele Tetro, Roberto Chiavini e Gian Filippo Pizzo, e abbiamo chiesto loro di parlarci di “Mondi Paralleli”.

Questo saggio viene presentato come unico nel suo genere: come è nato? E in cosa consiste la sua unicità?

MT: Ci risulta un progetto mai tentato prima, non almeno in forma così esaustiva. L’idea è partita da Gian Filippo ma ha trovato adesione entusiastica da parte di tutti gli autori del “trino” team, già rodato per le nostre precedenti opere assieme. L’iter del libro è stato abbastanza travagliato, con ben due anni tra gestazione e stand-by editoriale, cosa che però ha permesso il continuo aggiornamento delle schede. Carta vincente è stata l’affidare ad amici e colleghi, professionisti nel campo del fantastico, la stesura di alcune schede, in modo da ottenere un variegato risultato finale, molto eterogeneo in stile ed approcci.

 

RC: Concordo con quanto detto da Michele, e pur essendo capitato in un periodo piuttosto faticoso della mia vita, ho cercato di contribuire per quanto possibile al progetto, che senza dubbio colma una lacuna del panorama saggistico dedicato alla fantascienza.

 

GFP: Sì, l’idea è stata mia, ed è un’idea che mi porto dietro in un angolo della mente sin da ragazzo. Io appartengo alla generazione che guardava i film solo una volta, al cinema o in TV, perché quando ero ragazzo non esisteva l’home video. Quindi, se non ero svelto a leggere i titoli (che molto spesso venivano anche saltati) non potevo sapere se un film era tratto da un romanzo o da un racconto, e parallelamente in un romanzo o in un racconto su una rivista non sempre c’era scritto che ne era stato tratto un film. Dunque un’opera come questa mi sarebbe stata molto utile, essendo sia lettore che spettatore molto curioso.

Quanto al fatto che la definiamo un’opera unica, è una semplice constatazione di uno stato di fatto: non esiste al mondo, non solo per la fantascienza ma anche per altri generi e per la narrativa tout court, un saggio che metta esaustivamente a raffronto una versione cinematografica con l’opera letteraria da cui è tratta! Esistono capitoli specifici in alcuni saggi sulla SF, sia letteraria che cinematografica, alcune voci sulle enciclopedie dedicate al genere o appendici in testi critici, ma sono ovviamente parziali e incomplete. Quindi possiamo rivendicare con orgoglio di aver scritto un’opera davvero unica.

Aggiungo che mi piacerebbe leggere altri libri sulla falsariga di questo, ad esempio sull’horror o sul giallo...

Chi ha letto determinati romanzi di fantascienza considera minori i film che ne sono stati tratti: quali possono essere secondo voi le eccezioni? Quali sono cioè quei film che hanno aggiunto valore se non addirittura migliorato il testo da cui sono stati tratti?

MT: Be’, un film può migliorare o impreziosire l’originale letterario anche solo con una buona interpretazione attoriale o con una specifica resa visiva. Io ho sempre pensato che l’approccio cinematografico alla letteratura non dovesse essere una pedissequa riproposta del materiale scritto in modalità “live action” bensì una “variazione sul genere” della storia trattata, in modo da ottenere due vettori narrativi differenti anche contenutisticamente. Non sto parlando di un “tradimento” dell’originale scritto, per carità. Non tollererei mai che un autore venisse stravolto nei suoi assunti o deliberatamente frainteso, come quasi sempre accade con Lovecraft quando si tratta di produrre un film dalla sua opera. Pensiamo però a Stalker di Andrej Tarkovskij, film memorabile, tratto dal romanzo Pic-nic sul ciglio della strada dei fratelli [Boris e Arkady] Strugatskij, altrettanto noto: mai si potrebbero considerare due opere più diverse tra loro per stilemi, ritmo, gestione delle situazioni e dei personaggi, eppure entrambe sono dei capolavori. L’idea portante, comune ad ambedue le opere, è la stessa ma gli sviluppi e le fascinazioni da essa derivanti sono praticamente antipodiche tra loro, pur non tradendo affatto la fonte originaria della storia. Caso
più unico che raro. Non si parla di miglioramento di un testo, già rimarchevole di suo, ma di una sua nuova impostazione, originale a sua volta, adatta ad un veicolo, quello cinematografico, dalle diverse coordinate ma in grado di toccare vertici eccellenti di qualità. Fosse sempre così…

RC: È molto raro, in assoluto, non solo in ambito fantascientifico, che un film possa superare o anche semplicemente pareggiare l’impronta lasciata sul lettore da un buon romanzo (o racconto che dir si voglia). Le cause di questa “insufficienza” del medium visivo rispetto a quello della scrittura (della buona scrittura, si intende) sono palesi e chiaramente comprensibili a chiunque sia appassionato lettore e dotato di una pur media fantasia. L’insoddisfazione davanti al prodotto cinematografico derivato appare spesso in primis al suo autore (basta pensare alle polemiche di Matheson verso le varie trasposizioni del suo Io sono leggenda), poi al fan (vogliamo parlare delle discussioni seguite alla trilogia de Il signore degli anelli, a mio parere molto bella, ma nonostante ciò denigrata dagli appassionati duri e puri del romanzo?), per finire con il semplice lettore.

Esistono eccezioni e così sui due piedi me ne vengono in mente un paio, una delle quali, Shining di Stanley Kubrick non riguarda però il tema in esame; mi limito quindi a segnalare La cosa di John Carpenter, rilettura sufficientemente fedele del racconto di John W. Campbell jr., esaltato oltremodo dalle capacità del regista/sceneggiatore/musicista, splendidamente a suo agio nella tematica dell’assedio (argomento che meriterebbe un saggio approfondito), leit motiv di praticamente tutti i suoi, non pochi, capolavori.

 

GFP: D’accordo con entrambi. Tra i rarissimi casi di “miglioramento” del testo scritto metterei 2022: i sopravvissuti che aggiunge l’idea del cannibalismo inconsapevole al romanzo Largo! Largo! di Harry Harrison, e anche Il dottor Stranamore, che pur variando il registro da drammatico a satirico rivitalizza senza dubbio l’anonimo romanzo Red Alert di Peter George. Ci potrebbero essere altre eccezioni - ad esempio Minority Report di Steven Spielberg da un racconto di Philip K. Dick - ma non credo siano significative perché un racconto breve deve per forza essere ampliato per ricavarne un film di normale lunghezza. Tra i film che stanno sullo stesso piano del romanzo ci sono invece A Scanner Darkly dal romanzo di Dick Un oscuro scrutare e Starship Troopers dal romanzo di Robert Heinlein Fanteria dello spazio, sebbene quest’ultimo con un cambiamento di prospettiva.

Alcune storie sono state portate più volte al cinema: secondo voi con una qualità crescente?

MT: Non direi. Una storia è giusto che si possa riproporre nei decenni a venire, aggiornandola ai tempi e rendendola più adatta alle nuove generazioni, ma spesso questa riproposta non aggiunge nulla di nuovo all’originale, anzi, tende a sminuirne la forza nell’omologante abuso degli effetti speciali e della spettacolarità fine a se stessa.

Celebri romanzi come Io sono leggenda di Richard Matheson o Gli invasati di Jack Finney hanno avuto ben quattro trasposizioni cinematografiche, nessuna delle seguenti all’altezza della prima versione. Però se il remake passa per le mani di registi con una ben determinata “visio mundi”, nella quale incasellare ad hoc storie adatte alle loro corde interiori, ecco che il rifacimento trova una sua forte giustificazione. Penso a La cosa di Carpenter, paradossalmente molto più fedele al racconto originale di John Campbell jr. rispetto alla prima versione di Howard Hawks, o a La mosca di David Cronenberg, che “riscrive” ex novo il soggetto originale di George Langelaan, di cui poco o nulla rimane, inserendolo perfettamente nel suo cinema della mutazione.

RC: Dipende dai casi. Alcuni film hanno avuto dei remake semplicemente inguardabili o comunque non necessari (tipo Ultimatum alla Terra, Rollerball, Solaris, l’ultimo Io sono leggenda, in ambito non fantascientifico penso a Psycho), altri invece hanno rappresentato un progresso, che me li porta quantomeno ad equipararli all’originale (cito, alla rinfusa, Terrore dallo spazio profondo, ottimo rifacimento de L’invasione degli Ultracorpi, dal finale agghiacciante che ha tormentato i miei sogni di giovanissimo, e 1975: occhi bianchi sul pianeta Terra, che ho troppo amato da giovane per non poterlo considerare almeno alla pari con il pur molto bello L’ultimo uomo sulla Terra).

GFP: Anche in questo caso concordo con i miei soci, e avrei fatto gli stessi esempi. Aggiungo che in molti casi mi viene anche una certa rabbia perché a volte i registi (e/o gli sceneggiatori) hanno delle idee interessanti che però si perdono nella mediocrità del resto. Mi riferisco al fatto che The Time Machine dà un motivo per cui il protagonista inventi la macchina del tempo (per salvare la fidanzata morta in un incidente), che Planet of Apes di Tim Burton fornisce una spiegazione logica allo sviluppo dell’intelligenza scimmiesca, e all’idea di dare una compagnia (anche se è un cane) al protagonista di Io sono leggenda. Certo, sono elementi non presenti nei romanzi originari e nei film precedenti, ma se il resto dei film fosse stato all’altezza avrebbero potuto essere le carte vincenti.

Il cinema di fantascienza ha un pregio-difetto fortissimo: l’uso di effetti speciali. Che ne pensate di questo escamotage che troppo spesso rischia di far passare la storia in secondo piano?

MT: Già all’uscita di Guerre stellari a metà degli anni Settanta la critica indicò nell’abuso di effetti speciali il problema che oggi assilla il moderno cinema di fantascienza, che vede l’affossamento delle trame in un mare di computer-graphic alla fine solo disturbante. Ma se la storia è forte, sta in piedi anche senza il bombardamento visivo oggi di rigore. Faccio un esempio: il romanzo Solaris di Stanisław Lem metteva in scena straordinarie descrizioni della magmatica superficie del pianeta pensante, un vero invito a nozze per la visualizzazione basata sulla computer-graphic odierna, ma il regista Tarkovskij ben si guardò dall’utilizzare questo materiale, e certo non per il fatto che fosse allora impossibile realizzarlo. Semplicemente, la storia era forte abbastanza da far alludere il tutto. Tanto bastava. Non penso si possa tornare indietro in questo senso, ma un equilibrio tra storia narrata e sua resa visiva dovrebbe essere di rigore. Invece il marketing impone che un film di SF debba sempre avere le pirotecniche caratteristiche di Matrix, se no non vale la pena farlo… e che la storia narrata ne risenta è dettaglio di poco conto.

RC: Credo che si possa fare dell’ottima fantascienza senza bisogno di effetti speciali particolarmente notevoli (penso a Gattaca, The Cube, la serie televisiva Babylon 5, potrei continuare a lungo) e anche dell’onesto se non straordinario cinema di  fantascienza basata proprio sul prodigio visivo (per riprendere l’esempio dell’amico Michele, Guerre stellari deve buona parte del suo successo iniziale ai suoi effetti speciali, ma a chi importa? È giusto che sia così, purché la storia non sia essenzialmente stupida - come nel novanta per cento dei blockbuster di Emmerich, a partire da Independence Day).

Non è il caso dei titoli presenti in questo libro, dove l’origine letteraria dovrebbe garantire una qualità mediamente più alta della trama, ma parlando più in generale di fantascienza non vedo assolutamente nulla di male nell’uso di effetti speciali, purché funzionali alla vicenda e capaci di far divertire lo spettatore. L’unico fastidio che provo è quando si rovina una storia già esistente (sia essa un romanzo o la precedente sceneggiatura, nel caso di un remake) per istupidire lo spettatore con la sola presenza di effetti speciali.

Per tornare a La cosa di Carpenter (che ormai si sarà capito è uno dei miei film preferiti di sempre), per quanto criticata a suo tempo per l’utilizzo eccessivo degli effetti speciali (incredibilmente belli e mozzafiato), resta un film capace di avvincere ben aldilà di questi. Raramente un film di fantascienza ha saputo creare una tale tensione visiva e narrativa e non è giusto che il film venga ricordato solo per la bellezza del make up e dei suoi “mostri”.

GFP: Gli effetti speciali devono essere funzionali alla storia, non prevaricarla. Credo che in genere fino alla seconda metà degli anni Settanta lo fossero, ma anche adesso continuano ad esserlo in mano a registi capaci. Lo sono in Guerre stellari, in Jurassic Park, in Matrix e fino al più recente Avatar. Sono i mediocri che ne fanno abuso...

Quando i romanzieri sceneggiano un proprio libro, o uno sceneggiatore si lancia nella letteratura, secondo voi fanno un buon servizio alle rispettive arti? Ci sono autori bravi in entrambi i campi?

MT: Credo che uno scrittore non dovrebbe sceneggiare il proprio romanzo o racconto per i tempi cinematografici, spesso non ne ha la capacità di sintesi o di adattamento per un media differente dal suo. Se penso al gran paciocco che fece Stephen King per il suo Brivido… È necessaria un’altra testa per fare ciò, che però non arrivi a tradire il materiale che sta trattando. Poi, per carità, magari si trova anche qualcuno in grado di fare entrambe le cose. Trovo piuttosto molto interessante che gli scrittori riducano (meglio, amplino) successivamente le sceneggiature di determinati film di forte presa in veri e propri romanzi. Non parlo di novelization alla Alan Dean Foster, cioè dialoghi di un film in forma appena più narrativa, ma di vere e proprie opere letterarie, come

accaduto per The Abyss di James Cameron, affidato allo scrittore di SF Orson Scott Card con il preciso scopo di approfondire situazioni e psicologia dei personaggi ben oltre quanto al cinema era dato di vedere.

RC: Concordo con Michele sul fatto che raramente uno scrittore sia in grado di sceneggiare adeguatamente un proprio romanzo o racconto. Esistono esempi di straordinari scrittori che sono o sono stati anche grandi sceneggiatori, come Matheson, Bloch, Beaumont, per non dire di uno dei maestri della fantasy contemporanea come George R. R. Martin (il cui Game of  Thrones è ora trasposto in modo eccellente sul piccolo schermo, ma con sceneggiatori diversi), in precedenza ingiustamente poco osannato autore di fantascienza, nonostante la vittoria di numerosi premi Hugo e Nebula. Proprio il fatto che quasi mai tali ottimi scrittori abbiano deciso di metter mano di persona alla trasposizione sullo schermo di proprie opere mostra come generalmente sia preferibile che qualcun altro metta mano alla sceneggiatura, per evitare che il troppo amore di un autore per la sua opera possa portare a pessimi risultati (come quasi sempre è successo a Stephen King, autore sulla cui reale valenza letteraria sarebbe necessario scrivere un trattato a parte), o comunque impedisca all’autore di rendere in immagini parimenti efficaci quello che ha descritto così bene a parole. Proprio il caso di Game of Thrones può essere preso come esempio: nonostante Martin abbia sostanzialmente scritto una “soap opera” fantasy predisposta per il passaggio sullo schermo (capitoli narrati dal punto di vista di un personaggio, scansione degli eventi e dei passaggi di scena quasi teatrali, dialoghi ficcanti adattissimi al ritmo televisivo) e lui stesso abbia lavorato per buona parte degli anni ’80 e ’90 come sceneggiatore televisivo (Ai confini della realtà, La bella e la bestia, Babylon 5), le scelte della produzione hanno affidato l’opera alla coppia Benioff e Weiss, autori di un prodotto che non tradisce troppo gravemente l’originale (pur non essendone completamente all’altezza - ma era difficile fare meglio).

GFP: Niente da aggiungere.

Avete una spiegazione per giustificare la differenza qualitativa dei moderni adattamenti rispetto a quelli di vari decenni fa?

MT: Purtroppo il marketing di oggi detta legge, molto più di ieri. Un sofisticato apparato produttivo nel campo dell’effettistica, che rende tutto possibile, ha sterilizzato inoltre il genuino “sense of wonder” che certe storie sapevano trasmettere. Segno dei tempi. Se si volesse fare un blockbuster ispirato a Lovecraft oggi sarebbe possibile visivamente, ma perché mai parlare di un antico villaggio di pescatori invaso da creature ittiche quando si potrebbe meglio attirare le fasce giovani del pubblico ficcandoci vampiri bellocci, effeminati e languidi? Finché ragioneremo così, scordiamoci di poter godere nuovamente di una seria fantascienza cinematografica.

RC: È un inequivocabile segno dei tempi: le nuove generazioni abituate alla Playstation, all’iper-violenza grafica dei giochi e dei fumetti, sono il pubblico di riferimento della fantascienza attuale ed è quindi ovvio che anche le trasposizioni di opere letterarie privilegino l’effettistica sulla storia. Ecco quindi il proliferare di videogiochi per il grande schermo, siano essi vere e proprie derivazioni ludiche (Tomb Raider, Resident Evil, tantissime altre), siano operazioni di tal fatta tratte da media diversi (come 300, ovvero le Termopili per la PS3 - film che comunque sia mi è piaciuto un sacco, badate bene). Che possa risultare esiziale per il genere? Non ne sono affatto convinto. Che possa esserlo per i “vecchi” appassionati non c’è dubbio, ma non credo sia giusto ancorarci al passato specialmente in un genere come il nostro, necessariamente rivolto al futuro e alle innovazioni (per quanto ostiche possano risultare).

Pizzo: Anche in questo caso mi pare abbiano detto tutto Michele e Roberto.

Per finire, vi sarà stato chiesto mille volte quale film di questo libro amiate di più: io vi chiedo quale invece detestiate maggiormente.

MT: Quello che tradisce maggiormente le idee dell’autore originario. Penso a Io sono leggenda di Francis Lawrence, che fa un torto gigantesco allo splendido romanzo di Matheson, banalizzando invece un concetto portante molto profondo. Poi gli orridi ed inutili remake: Ultimatum alla Terra di Scott Derrickson, di rara goffaggine, per me davvero invedibile. E aggiungerei La leggenda degli uomini straordinari di Stephen Norrington, tratto da un’epocale graphic-novel di Alan Moore, qui ridotto alla stregua di fumettaccio per adolescenti… mi fermo qui. Sono un talebano cinematografico e felice di esserlo.

RC: Michele mi ha tolto le parole dalla tastiera... anch’io pensavo all’insopportabile ultima versione di Io sono leggenda, mentre nel campo dei remake mi sono parsi veramente poco guardabili sia il citato Ultimatum alla Terra, sia Solaris, sia Rollerball.

Tra le opere letterarie citate a me particolarmente care peggio trasposta sullo schermo non posso non citare Misteriose forme di vita, pessimo titolo italiano per l’originale Nightflyers, gioiellino di whodunit spaziale di George Martin. Speriamo che in futuro qualcuno possa rendergli giustizia (così come all’ancora più grande Sandkings, la cui riduzione televisiva come episodio pilota dell’edizione anni Novanta di Outer Limits non tocca vette sublimi, ma neppure infanga l’originale come è accaduto per il film citato sopra).

GFP: Film brutti ce ne sono tanti, tantissimi, ma sono troppo antirazzista per arrivare a detestarli, direi meglio che mi lasciano indifferente. Però effettivamente le due versioni di Nightfall, il racconto di Isaac Asimov da noi conosciuto come Notturno o Cade la notte, sono orribili, come è orribile Battaglia per la Terra. Ma direi, d’accordo con Michele, che i remake non riusciti sono la categoria più detestabile, in particolare The Time Machine e soprattutto Planet of Apes, il Pianeta delle scimmie di Tim Burton - anche perché da un regista come lui ci si aspettava molto di più.

Qualcosa da aggiungere, in conclusione?

MT: Rendeteci ben disposti ad lavorare sul libro gemello dedicato al weird: comprate prima questo!

RC: Spero che il libro abbia una buona accoglienza, perché non vedo l'ora di mettere mano a “Mondi Paralleli 2”, dedicato alle derivazioni cinematografiche di opere letterarie horror o weird, i miei argomenti preferiti.

GFP: Solo che personalmente siamo molto soddisfatti di questo lavoro (che ci ha permesso anche di scoprire nuovi film) e riteniamo che per gli appassionati sia utile in quanto opera di consultazione (corredata dei necessari indici)  ma anche divertente da leggere, perché le schede non sono schematiche come quelle che si ritrovano in genere nelle enciclopedie ma molto discorsive.

Un'altra, seppur piccola, cosa che ci ha fatto piacere è di essere riusciti ad inserire un film prima che arrivasse in Italia, per l’esattezza I guardiani del destino che è programmato per il 17 giugno!