Vale la pena ripeterlo: la realtà è solo uno degli attributi della letteratura. Un libro falso non è in nulla differente da uno vero, ma è dimostrato che esso tende sempre ad acquisire la maggior dose di realtà possibile. Fra le tante prove, è il caso di parlare di “I, Libertine”: un libro che fu finto prima di divenire reale.
Prima una veloce digressione. Durante il Salone del Libro di Torino, svoltosi recentemente, è avvenuta un’operazione pseudobiblica non nuova ma che ha avuto comunque un certo risalto nei giornali.
Alcuni studenti di Ingegneria del Cinema del Politecnico di Torino, incontrando nomi illustri del panorama giornalistico-letterario italiano, chiedevano regolarmente cosa ne pensasse l’intervistato del successo di “L’implosione”, romanzo d’esordio di Manuele Madalon. Visto che sia il titolo di detto romanzo che il suo autore erano pura invenzione, ci si sarebbe aspettato che gli intervistati ammettessero di non aver mai sentito nessuno dei due: invece non è stato così. A quanto pare ogni intervistato ha affermato non solo di conoscere il fantomatico autore, ma di aver apprezzato il suo romanzo; alcuni addirittura si sono lanciati in lodi sperticate o consigli per sfruttare il successo letterario.
Quale dovrebbe essere la morale dell’accaduto? Che l’intellighenzia italiana ami vantare conoscenze che non ha? Che piuttosto di ammettere la propria ignoranza su un argomento si preferisce mentire? In realtà queste reazioni comuni - molto più comuni di quanto si preferisca ammettere - seguono l’istinto umano della tendenza all’aggregazione: lo testimonia “I, Libertine”, uno dei più illustri predecessori del piccolo scherzo al Salone di Torino.
Insieme con gli ascoltatori Shepherd si inventò un autore, Frederick R. Ewing, e un titolo, “I, Libertine”, e nei giorni successivi mandò in onda le testimonianze di persone che avevano preso parte al suo scherzo: all’inizio veniva loro risposto che non si conosceva quel libro, ma a forza di insistere - di fronte cioè alla sicurezza delle persone nel chiederlo - cominciarono a fiorire persone che dicevano di conoscerlo e librai che promettevano di ordinarlo alle case editrici.
Quando lo scherzo acquisì proporzioni internazionali - sono tanti, nel mondo, i paesi anglofoni - uno degli ascoltatori di Shepherd si rivelò essere un giornalista del Wall Street Journal: propose al conduttore di mettere fine al terremoto mediatico con un’intervista-confessione. La proposta venne accettata con gioia e così venne rivelato al mondo intero che “I, Libertine” era un libro che non era mai esistito. Mai!
Come si diceva all’inizio, la differenza tra un libro vero e uno falso è del tutto ininfluente. “I, Libertine” non esiste? Be’... scrivetelo, allora! Questa fu la reazione del pubblico. La richiesta del libro, invece di scemare, addirittura aumentò: tutti ora erano curiosi di leggere un libro che non esisteva!
Con una tiratura iniziale di 130 mila copie, il libro vendette abbastanza per divenire un bestseller, e ancor oggi le copie usate vengono vendute a cifre importanti (si parla di 500 dollari a copia), ma il libro vero non fu un fenomeno di costume come quando era ancora falso: se non fosse stato per la caccia che l’ha preceduto, il libro in sé probabilmente sarebbe passato inosservato.
Così come gli intervistati al Salone del Libro di Torino, anche i poveri librai degli anni Cinquanta dissero di conoscere Ewing e il suo libro, così come le case editrici non si impegnarono certo nello smentire che “I, Libertine” fosse in un qualsiasi catalogo. Ora che lo scherzo è finito e sappiamo che “L’implosione” di Madalon non esiste, ne vedremo l’apparizione “vera” in libreria? Qualcuno cederà al richiamo del grande gioco degli pseudobiblia e porterà in vita un libro finora esistito solo nella mente di chi l’ha inventato? Vedremo...
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