Da qualche mese è in libreria La figura di cera, un libro sorprendente ed intrigante di cui ci siamo già occupati in libri/11035, pubblicato dalla Gargoyle Books e scritto dall’ottimo Riccardo D’Anna, il romanzo si sta sempre di più imponendo, anche per il passaparola dei lettori, come uno dei più interessanti e intelligenti libri sui vampiri degli ultimi tempi. Non abbaiamo quindi voluto perdere l’occasione di intervistare il suo autore e porgergli alcune domande sulla genesi e lo sviluppo della sua narrazione e sui suoi progetti futuri…
Come è nata l’idea di realizzare un sequel de Il Morso sul collo?
Come spesso accade, senza premeditazione, in modo abbastanza casuale: avevo collaborato con Gargoyle e sono legato da sincera amicizia con Paolo De Crescenzo (l’editore) che mi aveva spronato più volte a misurarmi con la narrativa di genere. Ho lasciato il suggerimento inascoltato per diversi anni, fino a quando, dopo aver lavorato sul romanzo di Raven, la scintilla è scoccata. Conoscevo bene l’epoca, l’ambientazione, e questo mi ha facilitato. Mi sono immerso in modo naturale nella storia, anche se ho dovuto approfondire alcuni aspetti, rispolverando vecchie letture e compiendone di nuove.
Più che altro si è trattato di una sfida. Desideravo soprattutto misurarmi con qualcosa di inedito, di diverso rispetto a ciò che avevo scritto fino ad allora e ti confesso che, a libro chiuso, mi sono ritrovato con più dubbi che certezze…
Scrivere un romanzo di genere come un libro d’autore, senza per questo stravolgerne i parametri essenziali, era una sfida ambiziosa: di qui affioravano quei dubbi che solo i lettori avrebbero potuto sciogliere e fugare…
Quali difficoltà e quali “agevolazioni” hai incontrato nel dar vita e far muovere personaggi e caratteri non tuoi ma “ereditati” da un altro autore?
Nel libro di Raven i personaggi erano tratteggiati con inchiostro fluido: “Il morso sul collo” non mi sembra un romanzo di grandi pretese letterarie. Io ho cercato di riprendere la fisionomia dei personaggi e di riportarli verso stereotipi “classici”, ma nel far questo ho tentato di offrir loro una maggiore profondità, un diverso spessore…
In che modo hai cercato di realizzare un continuum narrativo con il romanzo prequel?
In alcun modo, direi. L’unico vero problema (di non poco conto…, per la verità) era quello di creare un romanzo che, pur prendendo le mosse da una vicenda preesistente, si presentasse in modo del tutto autonomo. Fosse cioè pienamente “leggibile” anche per chi non avesse letto il libro di Raven. In un primo momento avevo pensato a una sorta di introduzione che compendiasse per sommi capi quanto accaduto in precedenza. Poi, fidando nella sagacia del lettore, mi è sembrato molto più efficace, e forse meno scontato, sciogliere nel corso del testo e nei dialoghi una serie di riferimenti essenziali…
Hai modificato il tuo stile narrativo per adattarlo a quello de Il morso sul collo?
Al contrario: ho piegato personaggi e situazioni al mio modo di sentire e di scrivere. Ma c’è un però… Sono dell’idea, infatti, che non tutto debba essere necessariamente spiegato in un libro, ma questa convinzione difficilmente può valere nel caso che si affronti un mistery… Per quanto possa esprimerti con uno stile personale, o addirittura ricercato, i fatti devono tornare per il lettore, se no sono guai…
Qual è il tuo rapporto con la serialità dei personaggi e delle vicende? Sia come lettore che come autore? In poche parole ci sarà un seguito de La figura di cera?
Vivere al di fuori della ristretta cittadella della grande editoria ha molti svantaggi (praticamente significa non guadagnare un euro da ciò che scrivi…) ma anche qualche piccolo vantaggio, come quello di non essere costretti a pubblicare per il mercato (quindi per un pubblico che si aspetta da te qualcosa di predefinito…).
Devo rispondere solo a me stesso e all’ispirazione: sebbene abbia considerato “La figura di cera” una sorta di unicum, niente più di un’incursione e di un esperimento nella letteratura di genere, ti confesso che ho voluto lasciarmi un finale “aperto” per non mettere limiti alla provvidenza. Mai dire mai, e il ritorno di Tyrrel mi sembra un buon punto di partenza…
Da dove nasce la ricchezza di particolari e di rimandi del tuo romanzo?
Da una precisa idea di letteratura. Sarebbe sciocco continuare a pensare l’universo della parola scritta in astratto, senza considerare le derive ultime, stranianti o suggestive che si considerino, della società contemporanea. Gli aspetti sono due in uno: noi oggi fruiamo di un numero sempre crescente di immagini, a una velocità sempre maggiore, e la letteratura non si spiega senza alcuni referenti iconici, artistici, fotografici o cinematografici. Questa accelerazione, si pensi solo all’uso della Rete, fa sì che il nostro immaginario (la proiezione, cioè della dimensione in cui viviamo e siamo immersi) sia sempre più parcellizzato: in altri termini vediamo e ricordiamo per lo più singoli segmenti, una serie di scene rispetto a un disegno d’insieme coerente. Penso che una letteratura che sappia mescolare, ibridare fra loro diversi generi e linguaggi, possa cercare di restituire quella molteplicità di cui parlavo.
Questo per ciò che riguarda la profondità: in superficie le considerazioni possono essere molte altre: dal gusto dell’allusione all’interno di una sorta di “filologia affettiva” (nascondo sempre fra le righe una spia tangibile degli scrittori che amo…) alla citazione che sfida o diverte il lettore in chiave ironica, alla passione per una documentazione il più possibile accurata…
Ci daresti qualche anticipazione su quello cui stai lavorando adesso?
Malgrado sia stato il mio terzo romanzo a essere pubblicato, “La figura di cera” è il quinto in ordine di composizione. A ottobre dovrebbe uscire un altro libro, quello che ho scritto come terzo e che stava da cinque anni in un cassetto… Dopo tanta attesa, e avendo perso le speranze, è un piccolo successo anche questo.
Ho da poco terminato il sesto romanzo, cui tengo in modo particolare perché c’è la storia del luogo in cui vivo, le poche strade in cui mi sento a casa… Da un lato avrei una gran fretta di ricominciare a scrivere (le idee non mancano: sento i cinquant’anni che si avvicinano e non vorrei lasciare nulla di intentato…), dall’altro ti confesso che vorrei prendermi qualche mese di vacanza dalla scrittura e dedicare tutto il tempo libero che ho per cercare di smaltire la pila di libri accumulati accanto al letto, prima di venirne fagocitato…
Riccardo D’Anna è nato nel 1962 a Roma, dove vive e lavora. Saggista e scrittore, ha pubblicato Una stagione di fede assoluta (PeQuod, 2006) e Saint-Ex (Avagliano, 2008).
La figura di cera - Londra 1958. Una serie di misteriosi suicidi preludono alla riapertura di un caso risolto forse solo in apparenza, denso di preoccupanti e inaspettati sviluppi. La scomparsa dalla tomba di una marchesa caduta in disgrazia, da poco defunta fra le mura di un appartamento londinese, donna dall'indiscutibile fascino, musa ispiratrice di D'Annunzio, appassionata di occultismo e interprete dei brillanti riti della belle epoque muove i protagonisti, in una corsa contro il tempo, alla ricerca del suo calco di cera da cui ella avrebbe potuto riattingere vita. Dopo un incontro a Venezia con Peggy Guggenheim, i nostri eroi si vedranno costretti a recarsi a Berlino, in una citta' che mostra ancora le ferite della guerra e dove sopravvivono gli ultimi scampoli di quelle societa' segrete che furono legate ai presupposti oscuri e alle origini magiche del nazismo. Non solo, quindi, un semplice romanzo di genere, ma un racconto che coniuga atmosfere noir e sfondi storici, personaggi reali e derive fantastiche. Concepito quale omaggio al Morso sul collo di Simon Raven (Gargoyle 2009), La figura di cera e' in realta' una sorta di obolo sentimentale che l'autore versa nei confronti dell'horror classico, che riaffiora timidamente non tanto e non solo in chiave letteraria: dai film della Universal a quelli della Hammer, da Vincent Price e Lon Chaney junior a Basil Rathbone e Nigel Bruce, indimenticati interpreti della coppia Holmes-Watson.
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