In questi giorni siamo tutti travolti da quell’espediente letterario che Antonio D’Orrico chiama “l’Effetto Vincenzoni”: quando non sapete come portare avanti una storia, fate apparire un personaggio con la pistola in pugno. Le disgrazie che stavano travagliando il mondo in questi primi mesi del 2011 non sembravano trovare una soluzione, e la storia stava diventando stagnante: nel romanzo mondiale serviva un personaggio con la pistola in pugno a sbloccare la situazione e a distogliere l’attenzione da una trama traballante.

Da giorni ogni organo di informazione si sta consumando per trasmettere una notizia vaga, per mostrare immagini che non ha, per presentare prove che non ci sono e per intervistare esperti che non sanno in realtà nulla: perché se il personaggio ha la pistola in pugno, non è certo una smoking gun, non è cioè quella “pistola fumante” che toglie ogni dubbio nelle storie gialle.

Nel romanzo della presidenza Obama - facente parte del lungo Ciclo del Romanzo planetario - serviva un colpo di scena, il momento topico che cattura l’attenzione e dona nuova luce alla storia: l’uccisione - data ormai per certa - di Bin Laden è la trovata perfetta arrivata al momento giusto:

un consumato romanziere non avrebbe saputo fare di meglio, in quanto a tempismo. Però è risaputo che i “buoni” letterari hanno sempre bisogno di un “cattivo” al loro livello: i super-cattivi non muoiono mai, altrimenti come farebbero i buoni a sapere che sono buoni?

Vista l’elevata percentuale romanzesca in un’operazione di intelligence che ha piuttosto il sapore dell’escamotage letterario, abbiamo chiesto a degli scrittori professionisti cosa ne pensino di questo improvviso sviluppo nel Romanzo di Obama.

 

Ettore Maggi. «Se avessi scritto un thriller fantapolitico in cui

Ettore Maggi
Ettore Maggi
comparivano Obama e Osama, da patito del conspiracy thriller quale sono, in realtà Osama bin Laden non è mai esistito. Il vero bin Laden era morto nel 1980 in Afghanistan, combattendo con i mujaheddin, contro l’Armata Rossa, nel Makbat al Kihdamat. Ma la sua morte era stata tenuta nascosta dagli uomini del fronte anti sovietico, per non demoralizzare i suoi combattenti (un po’ come la storia del Cid Campeador, oppure come il guerrigliero sandinista Rafael in Sotto tiro.

Il suo nome è stato utilizzato successivamente dalla CIA, creando una biografia del personaggio, dato che con la fine della Guerra Fredda veniva a mancare un “nemico”. E ora, appunto, il "nemico" non serviva più...

Ora il “nemico” Osama doveva essere eliminato dal “presidente” Obama, per ridare prestigio a un presidente in declino...»

 

Stefano Di Marino (alias Stephen Gunn). «Premetto che ho a

Stefano Di Marino
Stefano Di Marino
disposizione solo pochi elementi. Certamente le coincidenze temporali della fine della caccia a Osama sono sospette. Di solito malgrado si annuncino minuziose cacce condotte dai servizi segreti questi personaggi cadono perché hanno perso l’appoggio della loro rete. Successe la stessa cosa con Carlos. Da qui a preordinare esattamente la morte di Osama (ammesso che sia lui) con le nuove elezioni che comunque si svolgeranno tra diversi mesi, in cui l’effetto sarà comunque affievolito, mi pare esagerato. Non impossibile o improbabile, solo un po’ forzato.  Da oggi alle nuove elezioni Obama avrà modo probabilmente di confrontarsi con situazioni che potrebbero portarlo alle stelle o seppellirlo. Al momento sicuramente per chi ha vissuto dramamticamente l’11 settembre sicuramente l’impatto emotivo è forte ma tra qualche mese? Io credo che la lotta per la Casa Bianca sarà vinta sopratuttto da chi riuscirà a uscirsene con il cosiddetto “coniglio dal cappello” e invertire la crisi economica. Alla fine, al momento del voto, contano soprattutto i riflessi economici a breve termine.»

 

Giancarlo Narciso (alias Jack Morisco). «Mi sembra del tutto normale

Giancarlo Narciso
Giancarlo Narciso
che l’ufficio stampa della Casa Bianca cavalchi il più possibile la notizia. E non dimentichiamoci che l’espediente di anticipare o ritardare - entro limiti ragionevoli - la diffusione di notizie che possono influenzare l’opinione pubblica è una pratica quotidiana di tutti i governi basati sul consenso - e quale governo non lo è? Con l’uccisione di Osama bin Laden è stata vinta una battaglia simbolica e le vittorie sono sempre enfatizzate da chi governa e trascurate dalle opposizioni.

Poi però ricordiamoci che alcuni mostri della politica sono stati molto bravi a gestire anche le sconfitte, come per esempio John Fitzgerald Kennedy che a proposito del fiasco della Baia dei Porci, dichiarò: “La vittoria ha molti padri, la sconfitta è orfana”.

In sostanza venne apprezzato per essersi assunto la piena responsabilità. E vorrei vedere, la colpa era in gran parte sua, contro il parere della CIA aveva modificato il piano originale ereditato dalla amministrazione Eisenhower, che prevedeva lo sbarco in un’altra località, più facilmente difendibile della Baia dei Porci; inoltre all’ultimo momento aveva negato l’autorizzazione a fare entrare in campo l’aviazione, come originariamente si era impegnato a fare.

Per concludere, non ci vedo spazio per troppa dietrologia e troverei l’evento assolutamente utilizzabile in un romanzo. Dovrebbe essere però presentato come un evento normale, non come una rivelazione dell’ultima pagina.»

 

Andrea Carlo Cappi (alias François Torrent). «Tutto quello che riguarda

Andrea Carlo Cappi
Andrea Carlo Cappi
Osama bin Laden è sempre stato molto misterioso, dai rapporti d’affari della sua famiglia con la famiglia Bush - che hanno introdotto una curiosa componente personale nel confronto tra integralismo islamico e Stati Uniti - ai contatti tra la CIA e lo stesso bin Laden nell’estate 2001, prima dell’attacco agli USA, fino alla sua presunta morte ipotizzata più volte in questo decennio. Non c’è mai stato niente di chiaro in questa storia, con un personaggio che compariva ogni tanto su uno schermo senza che si riuscisse a capire se i suoi annunci fossero recenti oppure registrazioni risalenti a molto prima della loro diffusione; bin Laden sembrava uno spauracchio che ogni tanto saltava fuori e che veniva usato come pretesto per operazioni come la guerra in Iraq, che in realtà non aveva niente a che vedere con al Qaeda. Sembrava quasi che facesse comodo a tutti, tanto ai terroristi quanto ai guerrafondai americani.

Se ora è morto davvero - e si presume di sì, perché dopo un annuncio così ufficiale una smentita da parte di Barack Obama sarebbe imbarazzante - non possiamo nemmeno essere sicuri se “lo scontro a fuoco” in una città non lontana da Peshawar sia avvenuto da poco, oppure qualche giorno fa e quindi se la notizia sia stata diffusa a caldo oppure in un momento che l’amministrazione USA ha ritenuto opportuno. In un momento, peraltro, in cui l’ultima avventura della fantomatica Guerra al Terrore - l’attacco alla Libia - si sta risolvendo in una missione più incompiuta delle altre. Obama - un riformatore moderato che è capitato in uno dei momenti storici peggiori, diventandone il capro espiatorio agli occhi degli americani (un po’ come Zapatero per gli spagnoli) - ha bisogno di guadagnare punti. La recessione globale non è colpa di Obama, così come la morte di bin Laden non è merito suo, ma al pubblico piace la gente che appare in TV facendo annunci trionfalistici... noi in Italia ne sappiamo qualcosa. Quindi l’idea che il presidente nero abbia fatto fuori il capo delle “teste di stracci” può renderlo meno sgradito alle folle di americani che, tra una costa e l’altra, non capiscono niente di politica internazionale o di guerre ma vogliono ascoltare notizie di vittoria.

C’è anche la polemica sul Pakistan, che da una parte raccoglie fondi dagli USA per combattere il terrorismo, dall’altra continua a essere il rifugio dei talebani come lo era negli anni ’80 per i mujaheddin in funzione antisovietica (solo che all’epoca i guerriglieri islamici per noi erano “i buoni”). Una versione dice che l’operazione contro bin Laden è stata portata a termine con l’aiuto dell’intelligence pakistano, un’altra invece che è stata realizzata a sua insaputa. Forse oggi bin Laden non contava più nulla, sempre ammesso che dieci anni fa fosse lui il “genio del male” e non il portavoce di qualcun altro. Oppure era ancora lui a muovere i fili e quindi, più che un semplice atto di giustizia o di vendetta, si è trattato di una necessaria mossa strategica.

Mi viene da pensare un’idea che non condivido, ma che fa parte della filosofia di uno dei miei personaggi: in certi momenti della storia, un singolo tiratore scelto che elimina un individuo pericoloso prima che compia prevedibili disastri commette di sicuro un omicidio, ma salva tutte le vite che andranno perdute in seguito. Come ho detto, è un’idea che non approvo e che condanno risolutamente, ma non posso fare a meno di pensare che un proiettile in testa a Gheddafi durante la sua ultima gita a Roma forse avrebbe evitato la guerra in corso sull’altra sponda del Mediterraneo. Ma la famiglia bin Laden era in affari con George Bush padre e figlio, così come Gheddafi era in affari con la Fiat, quindi si comincia a sparargli contro solo quando per nascondere le loro vittime ci vuole un tappeto troppo grosso.»

Chiudiamo con una constatazione. La morte del cattivo, nei romanzi, è il segno che il libro è finito: il buono e il cattivo, qualunque sia il loro operato, vengono seppelliti insieme dal calare della copertina. Forse il Romanzo di Obama avrebbe dovuto prendere forma seriale: mille avventure del suo protagonista garantite solo a patto che il super-cattivo non muoia mai!