Morto un Papa se ne fa un altro (si sa…), ma chi?
Possibile risposta (cinematograficamente parlando…): Nanni Moretti, of course…
Siamo alle solite, verrebbe da dire, dove le solite sono “il solito” (mai una volta l’insolito…) cinema al quale in Nanni nazionale (e internazionale ma fino a Cannes…) ci ha abituato, quello che gronda, visto l’autore, di “morettismo” da ogni fotogramma, quello che soffoca il più geniale degli spunti, e questo Habemus Papam con un ponteficie non all’altezza del compito lo era, sotto una valanga di autoreferenzialità stavolta più fuori controllo del solito (stesso destino toccato all’altro grande spunto geniale del suo cinema, quello di Palombella Rossa, storia, si ricorderà, di un complicato recupero della memoria, perduta in un incidente d’auto e recuperata a pezzi e bocconi durante una partita di pallanuoto…).
Tempo di eleggere il cardinale Melville (Michel Piccoli, di solito immenso stavolta solo poco più che normale… …) al soglio di Pietro dopo un conclave sul quale in apertura di abbatte un black-out con tanto di cardinale in caduta libera verso il pavimento causa il buio (ridere, piangere, rimanere indifferenti?), ed è già tempo di un implacabile “fora da i ball”.
Così, mentre il povero Papa/Melville relegato fuori dalle mura vaticane inizia uno scontato, banale, e assai poco coinvolgente percorso in incognito all’interno di Roma, tra osterie e mezzi pubblici, Foro Romano e compagnie teatrali alle prese con Le tre sorelle di Cechov, il Nanni, di nuovo psicoanalista come ne La stanza del figlio, è libero di farne le veci.
Ecco quindi il Conclave non più tale, domato non senza prima essere cazziato dal Nanni, fino al punto di non ritorno che sfocia nella oramai famosa partita di pallavolo con annessa la battuta che tanto piacerà ai fan, quella sul definitivo tramonto della “palla avvelenata”.
Insomma, ci si attendeva una riflessione sulla ragione umana che al cospetto di un grande potere vacilla, in quanto ragione, perché capace di scorgere le difficoltà insite nel ruolo, attesa rinfocolata dalla segretezza mantenuta da Moretti sulla gestazione del film e dall’astuta campagna stampa, ed invece ci si trova di fronte ad un film spesso sfuocato sul tema cardine, azzoppato da un sistematico rifiuto di qualsivoglia confronto diretto tra la figura dello psicoanalista da un lato e del Papa in crisi dall’altro, appesantito da un ritmo lasco e da numerose scene troncate di brusco come se mancasse qualsiasi idea su come condurle in porto.
Non aiuta poi il tono leggero del tutto, molto morettiano per carità, ma che visto il finale, quasi da tregenda (“io sono tra coloro che devono essere guidati e non tra coloro che guidano”, le quasi testuali parole del Papa tornato in Vaticano per la rinunzia definitiva) aumenta ancora di più lo scarto tra intenzioni e risultati.
Come al solito non rimane altro da fare che rifugiarsi dove il cinema è cinema, dove i registi sono registi, gli attori sono allo zenit della loro bravura, le immagini parlano da sole.
Un esempio? Dillinger è morto, tanto per vedere ciò di cui è capace Michel….
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